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Russi

Russi: vent’anni di putinismo hanno distrutto la coscienza civile

I Russi hanno permesso a vent’anni di putinismo di distruggere la propria coscienza civile

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Russi: vent’anni di putinismo hanno distrutto la coscienza civile

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Russi: vent’anni di putinismo hanno distrutto la coscienza civile

I Russi hanno permesso a vent’anni di putinismo di distruggere la propria coscienza civile

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I Russi hanno permesso a vent’anni di putinismo di distruggere la propria coscienza civile

Nella tradizione monastica ortodossa il poslushnik è il novizio, il cui nome significa “colui che obbedisce”. In maniera del tutto simile a questa sacra tradizione, il più grande merito a cui può aspirare il cittadino che abita tra San Pietroburgo e Vladivostok è l’obbedienza assoluta, tradotta in una impossibilità alla critica che diviene, nella maggioranza dei casi, una fisiologica incapacità di poter rivendicare i propri diritti più basilari.

Ci aveva avvertito di questo l’agguerrita segretaria dell’organizzazione non governativa “Madri dei soldati”, fondata nel 1990 durante le guerre cecene per aiutare le famiglie russe a salvaguardare i propri figli. A quei tempi in Russia vi era ancora l’illusione che le liberalizzazioni di El’cin potessero portare il Paese nell’alveo delle democrazie occidentali, dove benessere economico e rivendicazioni civili sovente procedono a braccetto. Nel segno di tale speranza i genitori si esponevano per risparmiare alla loro prole abusi e maltrattamenti mentre combattevano per la restaurazione del dominio imperialista russo sulla Repubblica cecena di Ichkeria.

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Lo scorso gennaio la segretaria ha cominciato a ricevere numerose chiamate di madri preoccupate per il grande numero di loro figli coscritti ammassati nelle ‘esercitazioni’ ai confini con l’Ucraina. La preoccupazione di tutte, rivelatasi poi corretta, era che venissero impiegati in una invasione. I loro timori erano poi tutelati in punta di legge: le norme russe infatti vietano il coinvolgimento di coscritti in qualsiasi azione militare attiva. «Andate lì a riprenderli» rispondeva loro ogni volta l’esperta volontaria «oppure dite loro di scappare, nascondersi da qualche parte e presentare una denuncia al procuratore militare». A queste semplici istruzioni non ha però mai fatto seguito un reale impegno per salvare i giovani dal divenire corpi putrefatti nei campi di girasole ucraini: «Non uno solo di questi poveri disgraziati si è mosso in alcun modo!» racconta indignata l’attivista mentre il ricordo rinnova la sua frustrazione.

Vent’anni dopo le guerre cecene, quindi, persino i ribellismi legati ai contesti familiari giacciono esanimi ai piedi del Cremlino, come le bandiere degli sconfitti al termine della Grande guerra patriottica. Si tratta del vero capolavoro di pianificazione sociale del criminale Putin e dei suoi siloviki, dimostratisi capaci di trasformare 140 milioni di persone in un popolo di poslushnik tra i quali il raro Icaro deve scegliere se affrontare la galera o l’esilio. L’appecoramento del popolo russo ha tuttavia costretto quello ucraino a difendersi nel sanguinoso sforzo di resistenza a cui l’intero mondo sta assistendo da sei mesi. Il conto delle Z truppen uccise – composto da soldati russi coscritti, contrattisti, milizie dei territori occupati temporaneamente e mercenari della Wagner – ha raggiunto l’ulteriore pietra miliare delle cinquantamila unità, ma non per questo si fermerà. Nell’isolamento internazionale Mosca ha comunque ordinato centinaia di droni dall’Iran e tonnellate di proiettili d’artiglieria e missili dalla Corea del Nord. Finché le famiglie russe si contenteranno di una Lada bianca in vece dei loro figli, il massacro continuerà imperterrito.

di Camillo Bosco

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