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Soldati russi si sparano alle mani pur di essere congedati

La famiglia Zhoga rappresenta la metafora della guerra imperialista russa. I soldati russi, mandati allo sbaraglio, hanno cominciato a spararsi alle mani pur di farsi congedare con tutti i benefit e abbandonare una in cui ogni vittoria russa appare di Pirro.
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Soldati russi si sparano alle mani pur di essere congedati

La famiglia Zhoga rappresenta la metafora della guerra imperialista russa. I soldati russi, mandati allo sbaraglio, hanno cominciato a spararsi alle mani pur di farsi congedare con tutti i benefit e abbandonare una in cui ogni vittoria russa appare di Pirro.
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Soldati russi si sparano alle mani pur di essere congedati

La famiglia Zhoga rappresenta la metafora della guerra imperialista russa. I soldati russi, mandati allo sbaraglio, hanno cominciato a spararsi alle mani pur di farsi congedare con tutti i benefit e abbandonare una in cui ogni vittoria russa appare di Pirro.
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La famiglia Zhoga rappresenta la metafora della guerra imperialista russa. I soldati russi, mandati allo sbaraglio, hanno cominciato a spararsi alle mani pur di farsi congedare con tutti i benefit e abbandonare una in cui ogni vittoria russa appare di Pirro.
Dopo aver dato la sua benedizione urbi et orbi ai disgraziati morti «eroicamente» per rubare la libertà (e le lavatrici) degli ucraini, ieri il criminale Putin si è mischiato tra i sudditi intenti alla mesta parata del Reggimento immortale in cui ognuno dei partecipanti recava con sé una foto di un soldato estinto nella lotta contro il nazismo. Alla destra dello zar nella coorte funebre si è visto Artem Zhoga intento a reggere il ritratto di suo figlio Vladimir, comandante del battaglione Sparta: il famigerato corpo d’élite (nel collezionare crimini di guerra) di uno dei due costrutti territoriali creati dalla Russia a scopo terroristico, parte di quei 500 ufficiali – a loro volta parte dei 25mila soldati – morti finora nel carnaio ucraino. Famiglie come quella di Zhoga – al contrario di quelle della Crimea, occupata illegalmente e subito assimilata alla burocrazia moscovita – rappresentano una risorsa nel cinico imperialismo putiniano. Le autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk sono infatti sì vassalle ma indipendenti nel caso specifico dei loro morti, che possono essere espunti facilmente dalle statistiche dell’Operazione “Z” per non aggravare i già colossali bilanci delle perdite. È con attacchi a ondate dei vari Zhoga che è stata recentemente presa Popasna o, ancora meglio, le macerie che sono rimaste testimonianza di una cittadina del Donbass di 20mila anime ora completamente annichilita dalla guerra. Della distruzione su quel fronte ne sanno qualcosa persino i mercenari tagliagole della Wagner, famosi per le atroci torture ed esecuzioni dei soldati di Assad che in Siria tentavano di disertare. Armati di equipaggiamenti avanzati di livello americano, impossibili da ottenere per il soldato medio russo, in marzo sono stati scagliati contro le fortificazioni ucraine costruite sulla linea di contatto dopo la guerra del 2014. Ma le loro sofisticate armi si sono rivelate insufficienti per espugnare i bunker e quando raggiungevano le linee nemiche gli ucraini semplicemente si chiudevano dentro chiamando l’artiglieria a colpire le loro coordinate, con i risultati che si possono ben immaginare. Stanchi di essere mandati allo sbaraglio, anche i professionisti della guerra hanno così incominciato a spararsi alle mani pur di farsi congedare con tutti i benefit e abbandonare una guerra in cui ogni vittoria russa appare di Pirro. Nel fine settimana numerosi villaggi nei dintorni di Kharkiv, al Nord, sono stati liberati dai reparti di Kyiv che minacciano così di ributtare i nemici oltreconfine verso Belgorod. Persino una dozzina di cecchini russi sono caduti prigionieri dei reparti avanzati ucraini, mentre i loro commilitoni mettevano in salvo la pelle. La mobilitazione nazionale era l’ultima speranza di quei combattenti russi sul campo che ancora credevano che Mosca dovesse iniziare a “fare sul serio”. La serietà del Cremlino si è però tradotta nella tecnica dello struzzo. Se da una parte si nasconde la testa nella sabbia, altri – seppur fisicamente nascosti sottoterra – tengono invece la schiena dritta contro le mire imperialistiche di Putin. «Per quanto potrete resistere?» ha chiesto loro un giornalista durante la diretta streaming organizzata dal ventre d’acciaio di Azovstal. «Per tutto il tempo che sarà necessario» ha risposto il tenente Illya Samoilenko del reggimento Azov. di Camillo Bosco

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