Dal caso Diddy può nascere un nuovo #MeToo
Non dev’essere una storia qualsiasi, quella che vede protagonista Diddy (e prima ancora Puff Daddy) se il “The New York Times” l’ha ribattezzata «il #MeToo dell’industria musicale»
Dal caso Diddy può nascere un nuovo #MeToo
Non dev’essere una storia qualsiasi, quella che vede protagonista Diddy (e prima ancora Puff Daddy) se il “The New York Times” l’ha ribattezzata «il #MeToo dell’industria musicale»
Dal caso Diddy può nascere un nuovo #MeToo
Non dev’essere una storia qualsiasi, quella che vede protagonista Diddy (e prima ancora Puff Daddy) se il “The New York Times” l’ha ribattezzata «il #MeToo dell’industria musicale»
Non dev’essere una storia qualsiasi, quella che vede protagonista Diddy (e prima ancora Puff Daddy) se il “The New York Times” l’ha ribattezzata «il #MeToo dell’industria musicale»
Hanno arrestato un rapper negli Stati Uniti. Sai che notizia, la categoria ne fa un motivo di vanto da quando esiste. Sì, ma è uno dei più famosi del mondo. Mica è il primo, la lista è lunga. Lo accusano di essere alla testa di un’organizzazione criminale specializzata in racket e tratta di esseri umani, di favoreggiamento della prostituzione e traffico sessuale. Sarà, ma che t’aspetti da gente abituata a risolvere le questioni a colpi di pistola? Guarda che per i salotti (e i letti) di questo signore sono passati Jennifer Lopez e Leonardo DiCaprio, Justin Bieber e Paris Hilton, Ashton Kutcher e Khloé Kardashian. Alt: questo cambia tutto.
Non dev’essere una storia qualsiasi, quella che vede protagonista Sean Combs – in arte Diddy (e prima ancora Puff Daddy) – se il “The New York Times” l’ha ribattezzata «il #MeToo dell’industria musicale». In un primo momento poteva sembrarlo, considerato che Combs – 55 anni da compiere a breve, cantante, produttore, attore e superstar del panorama rap planetario – non è nuovo a inciampi giudiziari. Quando nel novembre scorso era stato denunciato per stupro e ripetute violenze fisiche da una sua ex fidanzata, la questione sembrava essersi sgonfiata già il giorno dopo: lui patteggiò (e molto probabilmente si accordò con la controparte a suon di milioni di dollari). Il fatto è che nei mesi successivi erano saltate fuori altre tre accuse di stupro da altrettante donne e una per violenza sessuale da un suo collaboratore, che ha sostenuto di essere stato drogato per poi risvegliarsi nudo, stordito e a letto con due prostitute più lo stesso Combs.
Mentre qui in Europa la vicenda veniva catalogata dai media alla voce “niente di che”, gli investigatori americani continuavano a scavare. Scoprendo in casa del rapper audio e video un po’ così (prostitute, droga, situazioni imbarazzanti) e materiale equivoco (per esempio quantità industriali di olio per bambini e lubrificanti). È finita con Diddy in manette prima e in gattabuia poi, in attesa di un processo in cui rischia fra i 15 anni di reclusione e l’ergastolo.
Ma quindi dove sarebbero le analogie col #MeToo? Così come nella vicenda che ha travolto il produttore cinematografico Harvey Weinstein, per esempio, anche qui le prime denunce hanno aperto la strada a nuove segnalazioni da parte di presunte vittime di Diddy. E soprattutto: così come accaduto con Weinstein e il dorato universo di Hollywood, anche Combs rischia di trascinare con sé un bel numero di celebrities che – per un motivo e per l’altro – lo hanno a lungo frequentato, attirate dai leggendari white party organizzati dal rapper(dress code imprescindibile: solo bianco). Erano festini che – stando a chi c’era e adesso ha deciso di raccontarli – avevano più livelli di riservatezza (c’erano pass diversi a seconda dell’importanza dell’ospite), duravano giorni e in cui le prostitute assoldate per allietare i presenti non potevano neanche mangiare, al massimo essere idratate a colpi di soluzioni fisiologiche via flebo.
Visto quel che sta venendo a galla – in Rete circolano vari video, alcuni disgustosi, come quello in cui Diddy si accanisce nel corridoio di un albergo contro una fidanzata – sembra che uno stuolo di star si sia precipitato a cancellare dai propri profili social ogni foto scattata in compagnia o in casa di Combs. Nessuno vuole anche solo essere sfiorato da sospetti come quello (non ancora confermato) secondo cui fra Diddy e un giovanissimo Justin Bieber ci sia stato qualcosa di più di un normale rapporto fra mentore e pupillo minorenne. Soltanto voci, per ora. Al massimo un video in cui, durante una festa organizzata per il 16esimo compleanno del cantante di “Baby” (12 milioni di copie vendute), il rapper promette di regalargli una Lamborghini e di procurargli qualche ragazza per farlo ‘divertire’.
di Valentino Maimone
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