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Destre europee (e mondiali) furibonde dopo la condanna di Marine Le Pen

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Che le destre europee (e non solo) non abbiano una buona relazione con la giustizia non è una novità. Ma la condanna di Marine Le Pen ha scatenato reazioni che definire di fuoco è riduttivo

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Destre europee (e mondiali) furibonde dopo la condanna di Marine Le Pen

Che le destre europee (e non solo) non abbiano una buona relazione con la giustizia non è una novità. Ma la condanna di Marine Le Pen ha scatenato reazioni che definire di fuoco è riduttivo

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Destre europee (e mondiali) furibonde dopo la condanna di Marine Le Pen

Che le destre europee (e non solo) non abbiano una buona relazione con la giustizia non è una novità. Ma la condanna di Marine Le Pen ha scatenato reazioni che definire di fuoco è riduttivo

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Che le destre europee (e non solo) non abbiano una buona relazione con la giustizia (specie quando si trova sul banco degli imputati) non è una novità. Ma la condanna di ieri alla leader del Rassemblement National francese, Marine Le Pen, ha scatenato reazioni che definire di fuoco è riduttivo. La pena comminata, oltre a quattro anni di reclusione (metà non sono da scontare, per gli altri scatteranno i domiciliari con cavigliera elettronica) prevede anche l’ineleggibilità per cinque anni, ovvero fino al 2030. Peccato che nel 2027 la Francia andrà al voto per le presidenziali. E Le Pen, in tutti i sondaggi, risultava la super favorita al primo turno, con quasi dieci punti di distacco sugli altri candidati.

«Questo lunedì 31 marzo 2025 rimarrà come un giorno funesto per la nostra democrazia e il nostro Paese» ha detto ieri la leader in un’intervista alla tv francese. È infuriata (chi, parliamoci chiaro, non lo sarebbe?). E attorno a lei amici e alleati condividono la sua rabbia viscerale, vomitando odio contro la magistratura (i giudici del processo fanno sapere di aver già subito minacce). Il primo a parlare è stato il “delfino” di Marine, Jordan Bardella, che commenta seccamente: «Oggi la democrazia francese è stata messa a morte». E senza uscire dal Paese anche gli altri leader estremi, Éric Ciotti a destra e Jean-Luc Mélenchon a sinistra, criticano la magistratura cui, dicono, non spetta decidere chi il popolo debba votare.

In Europa le destre estreme sono sulle barricate. Il premier ungherese Orban si limita a un hashtag su X, #JeSoutiensMarine, «Io sostengo Marine». Con lui anche il capo spagnolo di Vox, Abascal, e il padre della Brexit britannica, Farage. L’amico Salvini è più netto e, come spesso accade, coglie l’occasione per praticare il suo sport preferito: attaccare l’Europa. «A Parigi hanno condannato Marine Le Pen e vorrebbero escluderla dalla vita politica. Un brutto film che stiamo vedendo anche in altri Paesi come la Romania. Quella contro Marine Le Pen è una dichiarazione di guerra da parte di Bruxelles, in un momento in cui le pulsioni belliche di von der Leyen e Macron sono spaventose».

Anche Fratelli d’Italia sceglie di parlare in sostegno (indiretto) a Le Pen. Il ministro per gli affari europei Foti dice infatti che «la ineleggibilità a cinque anni è un modo come un altro per far fuori gli avversari politici prima di aprire le urne».

Negli Usa è tempo di propaganda per Trump, che con la giustizia ha un rapporto travagliato. Cogliendo la palla al balzo, la Casa Bianca fa sapere che «l’esclusione delle persone dal processo politico è particolarmente preoccupante. Soprattutto alla luce della guerra giudiziaria aggressiva e corrotta intrapresa contro il presidente Donald Trump qui negli Stati Uniti». Ed Elon Musk, con la sua consueta “moderazione”, entra a gamba tesa. «Quando la sinistra radicale non riesce a vincere con un voto democratico, abusa del sistema giudiziario per mettere in prigione i suoi oppositori. Questo è il loro modus operandi in tutto il mondo».

E poi c’è la Russia, eminenza (nemmeno troppo) grigia delle destre europee e mondiali. Quella stessa Russia la cui propaganda costituisce da tempo la colonna portante dei manifesti politici di molti dei leader che ora si schierano con Le Pen. E della stessa Le Pen. Poco dopo la condanna, il portavoce del Cremlino Peskov ha infatti dichiarato che la sentenza di incandidabilità della leader è «una violazione delle norme democratiche». La dittatoriale e guerrafondaia Russia dà lezioni di democrazia ai giudici di un Paese democratico. Serve commentare?

Di Umberto Cascone

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