Diplomazia al di là delle apparenze
Sleepy Joe si è svegliato di colpo. Nel giro di pochi giorni Biden ha segnato due colpi da maestro con risultati diversi – uno diplomatico, l’altro parlamentare – ma entrambi importanti: uno con la Cina, l’altro per il rilancio dell’economia USA.
| Esteri
Diplomazia al di là delle apparenze
Sleepy Joe si è svegliato di colpo. Nel giro di pochi giorni Biden ha segnato due colpi da maestro con risultati diversi – uno diplomatico, l’altro parlamentare – ma entrambi importanti: uno con la Cina, l’altro per il rilancio dell’economia USA.
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Diplomazia al di là delle apparenze
Sleepy Joe si è svegliato di colpo. Nel giro di pochi giorni Biden ha segnato due colpi da maestro con risultati diversi – uno diplomatico, l’altro parlamentare – ma entrambi importanti: uno con la Cina, l’altro per il rilancio dell’economia USA.
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Sleepy Joe si è svegliato di colpo. Nel giro di pochi giorni Biden ha segnato due colpi da maestro con risultati diversi – uno diplomatico, l’altro parlamentare – ma entrambi importanti: uno con la Cina, l’altro per il rilancio dell’economia USA.
Nel giro di pochi giorni Biden ha segnato due colpi da maestro, due risultati diversi – uno diplomatico, l’altro parlamentare – ma entrambi importanti: l’accordo puramente bilaterale per una seria cooperazione sino-americana sull’ambiente e l’approvazione al Senato del piano di rilancio dell’economista degli States. Sono due colpi che potrebbero rilanciare la sua immagine, contro quella di ‘sleepy Joe’, intenzionalmente diffusa da un’opposizione non rassegnata alla sconfitta elettorale e darwinisticamente propensa all’idea che l’America non sia un Paese per vecchi.
Entrambi questi successi offrono prospettive di politiche fra loro strettamente interconnesse e molto allettanti. Ma entrambi implicano anche politiche di complessa realizzazione. L’accordo Usa-Cina (detto di Glasgow perché annunciato a sorpresa dai due ‘grandi’ a conclusione e in chiara contrapposizione al multilaterale e inconcludente Cop26) prevede «responsabilità comuni ma differenziate» che «prendano in considerazione le capacità rispettive e le condizioni nazionali per un’azione rafforzata» da realizzare immediatamente, in questo decennio, specificamente in due campi: la riduzione delle emissioni di metano e quelle di CO2.
Per quanto riguarda Washington, è possibile che questo secondo obiettivo venga in parte ottenuto tramite una riduzione del consumo di carbone. Ma per ridurre le emissioni di CO2 sarebbe necessario abbattere anche il consumo di petrolio. E a questo fine diventa necessario un coordinamento con la forte iniezione di spesa pubblica prevista dal piano appena approvato dal Senato. Si tratta di una spesa colossale, anche su scala americana, e che dovrebbe determinare una fase di espansione, trainata dal potenziamento delle infrastrutture.
Una fase di progresso, tuttavia, che rischia di essere più quantitativo che qualitativo, più economico che ambientale. E in cui le ‘caratteristiche americane’ rischiano di essere prevalenti, soprattutto a causa delle ‘condizioni nazionali’ Usa per quel che riguarda l’insediamento della popolazione sul territorio. Agli europei potrà sembrare sorprendente, ma negli Stati Uniti esistono oggi oltre 86 milioni di fabbricati di due piani o meno – in schiacciante maggioranza residenze monofamiliari – e solo 5 milioni da tre piani in su, soprattutto uffici. Ne consegue una intensità abitativa molto bassa, che rende antieconomici i trasporti pubblici e del tutto logica la preferenza per l’automobile. La migliore scelta per l’americano medio, che vive nei suburbs, è oggi quella di fare cento o più miglia al giorno di commuting per recarsi al lavoro.
Qualche miglioramento si potrà forse ottenere a livello interurbano – sull’asse Boston-NY-Washington e in minor misura in California – ma nel complesso gli investimenti nelle infrastrutture di trasporto finiranno inevitabilmente per seguire lo schema tipico dell’America: quello dei grandi spazi a bassa intensità di occupazione, che è radicalmente opposto alla logica della preservazione ambientale e del risparmio energetico.
La lotta alle emissioni di anidride carbonica spetterebbe quindi principalmente a Pechino, che ha sinora fatto un enorme uso del carbone e prevede di abbatterlo nel 2026-30. A Washington, al contempo, andrebbe la lotta contro le emissioni di metano. Vale a dire l’offerta ai palati americani non più di hamburger e bistecche cariche di ormoni femminili, oggi usati per far ingrassare i bovini, ma nuovi prodotti proteici ottenuti grazie alla ricerca biologica che consente ormai di eliminare gli elementi anti-nutritivi presenti in molti vegetali.
La diplomazia ambientalista di Biden tende insomma – se non sarà ostacolata da interessi che puntano invece a uno scontro anche militare con Pechino – a una divisione dei ruoli fondata sulle diversità naturali e socio-economiche tra le due maggiori potenze del mondo attuale. Una diplomazia fondata sulla complementarietà, ben più realistica e adatta alla gravità della situazione presente di tutta la retorica, la demagogia giovanilistica e il buonismo ipocrita che i media ci hanno servito nelle ultime due settimane in maniera spesso intollerabile.
di Giuseppe Sacco
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