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Disastro Biden: i democratici pensano al “golpe”

Il day after il disastro di Joe Biden nel duello tv contro Donald Trump commentato da Federico Petroni di Fiamme americane, Osservatorio sugli Usa di Limes

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Disastro Biden: i democratici pensano al “golpe”

Il day after il disastro di Joe Biden nel duello tv contro Donald Trump commentato da Federico Petroni di Fiamme americane, Osservatorio sugli Usa di Limes

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Disastro Biden: i democratici pensano al “golpe”

Il day after il disastro di Joe Biden nel duello tv contro Donald Trump commentato da Federico Petroni di Fiamme americane, Osservatorio sugli Usa di Limes

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Il day after il disastro di Joe Biden nel duello tv contro Donald Trump commentato da Federico Petroni di Fiamme americane, Osservatorio sugli Usa di Limes

Il day after del primo duello tv tra i candidati alla presidenza parla chiaro. Per i media americani la performance di Joe Biden è stata semplicemente un “disastro”, un “inferno” e in casa democratica regna l’apprensione, tanto che il “piano B” sembra non essere più un’opzione, ma quasi d’obbligo: cambiare candidato, prima o in occasione della convention democratica, in programma a fine agosto a Chicago. 

«Se già c’erano fortissimi dubbi prima del confronto tv, dopo appena dieci minuti Biden li ha confermati tutti, tanto che ora è partita la campagna per convincerlo a rinunciare alla corsa per un mandato bis», commenta Federico Petroni, analista esperto di Stati Uniti e curatore di Fiamme americane, Osservatorio sugli Usa di Limes

Le strade possibili sono diverse: c’è la possibilità di una open convention, ossia che la riunione dei delegati democratici “diventi occasione per proporre un nuovo candidato – spiega Petroni – Un altro scenario è un “golpe” contro Biden: non è da escludere, anche se meno probabile in quanto opzione estrema. Significa che alla convention i delegati, che non sono obbligati a votare Biden, possano ribellarsi alla sua candidatura bocciandola. Oppure potrebbe essere rimosso forzatamente dal ticket democratico. Anche questa è una scelta estrema, che potrebbe anche solo essere minacciata per convincerlo a lasciare. È un’opzione prevista dal Democratic National Committee, in caso di morte, per dimissioni volontarie o perché il candidato è incapacitato. Era già accaduto di valutare se percorrere questa strada nel 2016 con Hillary Clinton, a causa dell’email-gate, anche se poi non la si percorse perché l’appuntamento elettorale era troppo ravvicinato». 

«Un ultimo scenario, meno probabile, sarebbe sostituire la vicepresidente, cioè Kamala Harris. Può servire nel momento in cui, pur in presenza di un leader fragile e debole, si accarezza l’idea che questo possa farsi da parte una volta eletto e durante il suo mandato, lasciando la presidente a un vice forte, energico, giovane e che piace, caratteristiche che però Harris non ha. Il suo tasso di approvazione è basso come quello di Biden. Inoltre si è ritagliata un ruolo importante all’interno del partito democratico, per cui chiederle di lasciare il ticket sarebbe per lei un’umiliazione ancora più grande rispetto a quella di Biden stesso», spiega Petroni.

L’interrogativo resta chi potrebbe sostituire un Biden troppo appannato. «Michel Obama ha dalla sua una grande popolarità, ma finora ha dichiarato di non volersi candidare. Si fanno i nomi di alcuni Governatori democratici di stati come la Pennsylvania con Josh Shapiro. Alcuni potrebbero avere ottime chance, ma non sono sufficientemente noti. L’unico a essere più conosciuto è il californiano Gavin Newsom, ma il suo modello è considerato troppo avanguardistico con conseguenze come una forte crisi degli alloggi e un costo della vita eccessivo. Non sono sicuro che sarebbe una buona scelta per il partito democratico, anche se al momento sembra non ce ne siano altre».

Biden, intanto, resiste«soprattutto per un forte orgoglio personale, non perché il partito sia coeso al suo fianco. Finora lo si è appoggiato anche perché storicamente chi sfida il Presidente in carica perde quasi sicuramente: è accaduto con Bush senior, ma anche con Lindon Johnson. La paura di rovinare le chance elettorali dei democratici per ora ha spinto a sostenere Biden nel rematch contro Trump, ma adesso questa convinzione sta venendo meno», spiega ancora Petroni, nonostante lo stesso Trump non abbia brillato.

di Eleonora Lorusso

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