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Il discorso di Putin e il cambiamento epocale della geopolitica

Il discorso di Putin è sembrato quello di un giocatore d’azzardo, ancora ignaro del cambiamento epocale della politica estera nei confronti del suo Stato.

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Il discorso di Putin e il cambiamento epocale della geopolitica

Il discorso di Putin è sembrato quello di un giocatore d’azzardo, ancora ignaro del cambiamento epocale della politica estera nei confronti del suo Stato.

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Il discorso di Putin e il cambiamento epocale della geopolitica

Il discorso di Putin è sembrato quello di un giocatore d’azzardo, ancora ignaro del cambiamento epocale della politica estera nei confronti del suo Stato.

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Il discorso di Putin è sembrato quello di un giocatore d’azzardo, ancora ignaro del cambiamento epocale della politica estera nei confronti del suo Stato.

Un leader in declino, il suo potere a rischio e una guerra senza vittoria possibile. Il discorso di Vladimir Putin, rinviato e poi arrivato, non ha nulla a che fare col discorso di un re. È semmai il tentativo d’un giocatore dazzardo, ormai isolato e con in mano pessime carte. Le parole hanno sempre un peso e lo hanno ancor di più quando a pronunciarle è un capo di Stato o di governo. Ebbene, nel discorso di Putin di ieri il passaggio emblematico delle sue infinite difficoltà e di una guerra sbagliata stanno in poche lettere: «Non sto bluffando». Ora, anche il pokerista più ingenuo sa che durante la partita non si parla mai di bluff. Si gioca e basta.

L’escamotage del bluff è per Putin il modo di far passare la Russia ancora forte mentre è in evidenti difficoltà. Stiracchiato tra chi a Mosca vorrebbe la guerra dura usando tutti i mezzi, chi comincia a essere stanco (anche tra le élite) e una maggioranza silenziosa, allo zar non è rimasto che alzare la voce. Il che, attenzione, non rende Mosca meno pericolosa per le democrazie. Anzi. Si tratta di una potenza nucleare e i due passaggi di Putin sul richiamo di trecentomila riservisti con una mobilitazione parziale o sul possibile uso di armi nucleari, attaccando in un ribaltamento di realtà lOccidente – «Figure eminenti della Nato hanno parlato della possibilità di usare contro la Russia armi di distruzione di massa, cioè armi nucleari. (…) Voglio ricordare che anche il nostro Paese dispone di armi nucleari» – hanno il sapore più della disperazione che della politica o di un tentativo di rilancio per arrivare a una trattativa diplomatica.

I referendum annunciati dai filorussi nelle quattro aree ucraine di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia sono un tentativo di non perdere la faccia ma forniscono a Mosca anche un eventuale pretesto per usare armi nucleari tattiche in caso di attacco alla Russia, se verranno annesse seppur con votazioni farsa.

In questa crisi profonda del putinismo emerge di contro, se volgiamo lo sguardo a Occidente, la compattezza e la sostanziale unità del mondo libero. Mentre Putin rinviava il suo discorso, i principali leader intervenivano a New York nel palazzo dell’Onu sottolineando come davanti al cambiamento epocale in corso la strada di scegliere la libertà di Kiev sia una decisione che traccia il futuro e l’identità stessa dell’Occidente e che la geopolitica del presente e degli anni a venire prenderà forma in questo ambito e non fuori.

Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha ribadito, con una sintesi efficace, la svolta politica non reversibile compiuta da Unione europea, Stati Uniti e Gran Bretagna: «Le responsabilità del conflitto sono chiare e di una parte sola. L’invasione dell’Ucraina viola i valori e le regole su cui da decenni poggiano la sicurezza internazionale e la convivenza civile tra Paesi. Aiutare l’Ucraina a proteggersi è l’unica scelta coerente con gli ideali di giustizia e fratellanza che sono alla base della Carta delle Nazioni Unite». E ancora: «Abbiamo imposto sanzioni dirompenti alla Russia, per indebolirne l’apparato militare e convincere il presidente Putin a sedersi al tavolo dei negoziati». Negoziati che non potranno esser fatti guardando al mondo di prima ma all’oggi, un presente dove la guerra ha ridisegnato la geografia energetica e la geopolitica globale.

La politica estera occidentale verso la Russia che esisteva prima dell’invasione dell’Ucraina è morta. E non tornerà. Il punto è se Putin si sia reso conto di questo cambiamento epocale. Verrebbe da pensare di no, volendo continuare la guerra con la speranza di un indebolimento del fronte occidentale. Evitare che la sua diventi una politica mossa soltanto dalla disperazione è il filo sottile su cui dovrà incamminarsi adesso la diplomazia. Magari guardando anche alla mediazione di Pechino e di Ankara (che a Samarcanda han fatto capire a Putin che deve fermare la guerra). Ieri la Cina, a proposito dell’Ucraina, ha chiesto di rispettare la «sovranità e l’integrità» di tutti i Paesi, sottolineando che lo stesso rispetto è necessario per «la Carta e i principi dell’Onu». Dasvidania. Di Massimiliano Lenzi

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