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Dmitry Medvedev

Dmitry Medvedev, da apparente dialogante a estremista

Il mantra della propaganda russa ha trovato da tempo il suo interprete più aggressivo e volgare proprio in Dmitry Medvedev
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Dmitry Medvedev, da apparente dialogante a estremista

Il mantra della propaganda russa ha trovato da tempo il suo interprete più aggressivo e volgare proprio in Dmitry Medvedev
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Dmitry Medvedev, da apparente dialogante a estremista

Il mantra della propaganda russa ha trovato da tempo il suo interprete più aggressivo e volgare proprio in Dmitry Medvedev
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Il mantra della propaganda russa ha trovato da tempo il suo interprete più aggressivo e volgare proprio in Dmitry Medvedev

Mosca – «L’esperienza mondiale e nostrana dimostra che i terroristi (gli ucraini, ndr.) non possono essere affrontati con sanzioni internazionali, intimidazioni o esortazioni. Capiscono solo il linguaggio della forza. Solo metodi duri e completamente disumani. Per questo è necessario far saltare in aria le loro case e quelle dei loro parenti, cercare e liquidare i loro complici, abbandonando l’idea banale di fargli un processo. Ma la cosa principale è distruggere i vertici delle formazioni terroristiche, indipendentemente da dove questi insetti si nascondano». Eccolo qui l’ultimo anatema redatto su Telegram da Dmitry Medvedev, già presidente della Russia e ora vice presidente del suo Consiglio di sicurezza, dopo che chirurgicamente l’esercito ucraino aveva colpito il ponte che collega la Crimea alla terraferma russa. Niente di nuovo, si dirà. Ormai il suo stile lo si conosce.

Il mantra della propaganda russa ha trovato da tempo il suo interprete più aggressivo e volgare proprio in Medvedev. Il quale vuole forse far dimenticare al suo padrino Putin la sua immagine liberal del passato, fatta di aperture in economia e concerti privati dei Deep Purple al Cremlino (questi ultimi, per la cronaca, dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina hanno rimandato per protesta al mittente i souvenir ricevuti a latere di quell’esibizione). Il pupillo dello ‘zar’ vuole intercettare con le sue minacce quella parte dell’opinione pubblica russa ancora convinta che la colpa di quanto sta accadendo sia da addossare all’Alleanza Atlantica e che, ovviamente, continua a nutrirsi a sazietà della narrativa secondo cui dal 2014 a Kiev si marci al passo dell’oca. Non a caso ogni due giorni si tengono a Mosca manifestazioni in cui i partecipanti, agitando missili nucleari di cartone, chiedono a gran voce che quelli veri vengano lanciati «su Washington!». Rabbia e odio – di soltanto una parte dei russi, si badi bene – alimentati dall’ideologia e dal mito ultranazionalista del ruolo ‘benevolente’ dell’Armata Rossa nella Seconda guerra mondiale.

Tuttavia le parole di fuoco di Medvedev trovano eco non soltanto all’interno del Paese ma anche nel cosiddetto “mondo pacifista” europeo, che in realtà ha tifato sin dall’inizio (e senza neppure tanto nascondersi) per l’aggressione di Putin. Questa tendenza è stata confermata da un recente sondaggio della Global Attitudes Survey da cui si ricava che mentre in Europa la sfiducia in Putin è mediamente sopra l’80% (con la Polonia al 98%), in Italia è invece al 79%, in Ungheria soltanto al 73% e in Grecia addirittura al 66%.             Quello dei simpatizzanti della ‘denazificazione’ è un piccolo mondo nostalgico dell’Ordine di Yalta, soprattutto di derivazione comunista ma composto anche da coloro che in passato hanno fatto affari con la Russia (chiudendo gli occhi su guerre e diritti umani).

Il target che Medvedev con la sua sgangherata campagna vuole raggiungere in Occidente è in buona parte stranoto: sono i nipoti dei magliari che negli anni Settanta attraversavano di frodo la cortina di ferro con le calze di nylon e non soltanto di coloro che vedevano nella Russia il “sol dell’avvenire”.

di Yurii Colombo

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