Domin(i)o
Auspicare una pacificazione è cosa saggia e pure ovvia, ma gli inviti alla calma e alla prudenza non bastano e hanno soprattutto un difetto: non tengono conto della realtà
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Auspicare una pacificazione è cosa saggia e pure ovvia, ma gli inviti alla calma e alla prudenza non bastano e hanno soprattutto un difetto: non tengono conto della realtà
Domin(i)o
Auspicare una pacificazione è cosa saggia e pure ovvia, ma gli inviti alla calma e alla prudenza non bastano e hanno soprattutto un difetto: non tengono conto della realtà
Auspicare una pacificazione è cosa saggia e pure ovvia, ma gli inviti alla calma e alla prudenza non bastano e hanno soprattutto un difetto: non tengono conto della realtà
In questi giorni è tutto un fioccare di analisi, di politici ma anche di giornalisti ed esperti, riguardo alla necessità di un intervento degli Stati Uniti e dell’Occidente al fine di calmare le acque ed evitare ulteriori escalation della crisi mediorientale, con particolare e insistente sottolineatura rispetto alle tensioni crescenti fra Israele e Iran.
Non per giocare a fare i cinici, visto che auspicare una pacificazione è cosa saggia e pure ovvia, ma gli inviti alla calma e alla prudenza non bastano e hanno soprattutto un difetto: non tengono conto della realtà. Nei suoi rapporti di forza, il mondo con cui ci troviamo infatti a fare i conti è quello uscito nell’ormai lontano 1945 dalla fine della Seconda guerra mondiale. Un mondo che ha trovato per diversi decenni un proprio equilibrio – non senza che scoppiassero focolai o conflitti sparsi – nella deterrenza della Guerra fredda: una guerra fatta di aree e di zone di influenza ritagliate appunto sull’esito del conflitto mondiale. Con la disgregazione dell’Unione Sovietica e del mondo da essa soggiogato, quegli equilibri sono saltati non solo nei Paesi dell’Est Europa (come l’Ucraina) ma anche in Medio Oriente, un’area che non è mai stata in equilibrio. Con la sua guerra di invasione contro Kiev il presidente russo Vladimir Putin sta, di fatto, tentando di portare indietro l’orologio della Storia a prima della fine dell’Urss. Ebbene, dev’essere chiaro a chi parla di pace e di prudenza che farlo pensando di mettere in retromarcia la geopolitica del pianeta non funziona.
A questo proposito le due guerre più discusse oggi in corso – quella in Ucraina e quella in Medio Oriente – non potranno avere una soluzione per la tregua (o per la pace) separata ma dovranno essere affrontate insieme dal mondo occidentale, a cominciare dagli Stati Uniti. Non v’è dubbio che in questi mesi e fino a novembre, quando in America si voterà per le elezioni presidenziali, gli Usa saranno distratti dalla sfida politica interna fra Kamala Harris e Donald Trump. Una sfida dura, di mancato riconoscimento reciproco e senza esclusione di colpi. Questa attenuerà di fatto l’attenzione degli Stati Uniti dal lavorare non soltanto per il sostegno all’Ucraina e a Israele ma anche dal pensare a una soluzione diplomatica, di concerto con l’Ue e la Gran Bretagna, che avvicini alla fine dei due conflitti. È scontato, quindi, che occorrerà ancora del tempo prima che si arrivi a capo di questo domino del mondo. Così come è altrettanto scontato che la diplomazia debba lavorare sempre – tutta – anche in tempi di elezioni americane alle porte. Purché lo faccia senza scordare che chi si esercita soltanto sul piano diplomatico, dimenticandosi la deterrenza militare necessaria a tener buoni gli autocrati malintenzionati, non fa opera di pace ma commette un errore politico madornale: chi si ferma nel sostegno e nell’aggiornamento delle proprie capacità di difesa militare ha inevitabilmente già perso in questo gioco al domin(i)o.
A questo proposito – per le considerazioni fatte sinora, a cominciare da quella sulla fine degli equilibri della Guerra fredda – esiste un Paese che non è occidentale, retto da un sistema dispotico e che potrebbe avere un certo interesse a non tornare al mondo com’era. Questa nazione è la Cina di Xi Jinping, oggi solida alleata e sostegno di Putin e della Russia. Nel mondo uscito dalla Guerra fredda la Cina non era infatti una superpotenza globale mentre lo era l’allora Unione Sovietica. Parlando dunque di diplomazia, su questo dovrebbe lavorare l’Occidente, tenendo sempre assieme le possibili soluzioni dei due conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Sganciando Pechino da Mosca e spiegando con pragmatismo e razionalità che il nuovo ordine globale inseguito da Putin – una restaurazione – non può essere quello voluto dalla Cina.
Di Massimiliano Lenzi
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