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Azvostal

Dopo Azovstal: quale via per le trattative?

Mentre i soldati ucraini lasciano Azovstal, in Russia cresce il malcontento per la gestione della guerra. Ora serve cercare vie per trattare e una chiave potrebbe essere il gas.
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Dopo Azovstal: quale via per le trattative?

Mentre i soldati ucraini lasciano Azovstal, in Russia cresce il malcontento per la gestione della guerra. Ora serve cercare vie per trattare e una chiave potrebbe essere il gas.
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Dopo Azovstal: quale via per le trattative?

Mentre i soldati ucraini lasciano Azovstal, in Russia cresce il malcontento per la gestione della guerra. Ora serve cercare vie per trattare e una chiave potrebbe essere il gas.
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Mentre i soldati ucraini lasciano Azovstal, in Russia cresce il malcontento per la gestione della guerra. Ora serve cercare vie per trattare e una chiave potrebbe essere il gas.

Azovstal, il gigantesco complesso siderurgico di Mariupol teatro della più lunga e terrificante battaglia della guerra scatenata da Putin in Ucraina, da settimane non era più solo un luogo di resistenza e sofferenze indicibili. Si era trasformata in unangosciante guerra propagandistica a sé stante. Un simbolo sfuggito al controllo di tutti, ai russi che volevano farne la spietata fotografia della resistenza ucraina schiacciata e umiliata e a Kiev, decisa a resistere fino all’ultimo uomo per mantenere una lancia conficcata nel petto dell’armata di Putin. Lui stesso, dopo aver concesso levacuazione dei civili che avevano trovato rifugio nei sotterranei dell’acciaieria e dei soldati feriti, si era affrettato a intimare ai suoi di «non far volare una mosca» da Azovstal. Parole di ghiaccio (o dure come lacciaio, considerato il luogo), in cui si ordinava – e non tra le righe – di eliminare chiunque non fosse uscito subito.

Da 48 ore, invece, vediamo emergere da quell’inferno gli ultimi civili, militari feriti, ma anche soldati ancora perfettamente in grado di reggere un fucile. Assistiamo alla resa di una cittadella – di un simbolo importante quanto si voglia – che non potrà comunque decidere le sorti del conflitto. Cessate il fuoco e via all’evacuazione che possono essere solo il frutto di una mediazione, di una trattativa fra i comandanti sul campo. Almeno fra loro.

Non solo, ora quei soldati ucraini sono entrati nelle trattative per avviare scambi di prigionieri. E a infuriarsi per tutto questo non è Vladimir Putin ma la Duma o almeno la sua ala più oltranzista. Il presidente del Parlamento di Mosca Vyacheslav Volodin ha dichiarato che i soldati ucraini ora in mano alle forze filorusse dell’autoproclamata Repubblica di Donetsk «non dovrebbero essere scambiati, ma processati in quanto criminali di guerra». Parliamo di circa 600 uomini a cui negare lo status di prigionieri. Putin tace, mentre abbaia la politica russa più sanguinaria, quella che mostra di credere ai nazisti in Ucraina e alle parole dordine con cui il presidente russo scatenò il conflitto.

Al contempo, i dubbi sulla conduzione della guerra hanno trovato spazio persino sul primo canale della televisione di Stato, con tanto di critiche di Mikhail Khodaryonok all’andamento delle operazioni. Il colonnello in pensione, volto notissimo nelle case russe, ha spiegato che le notizie sull’esercito ucraino in rotta sono false. E che è Mosca a doversi preoccupare. Nonostante questo, consentiteci la macabra ironia, Khodaryonok è ancora fra noi.

Altre critiche di vertici militari sono trapelate sino all’Occidente ed è praticamente impossibile negare le crepe in quello che dovrebbe essere il monolitico potere di Putin. Da qui a ipotizzare colpi di Stato o malori decisivi dell’uomo di Mosca passa un oceano, ma sarebbe delittuoso non cogliere il magma in movimento sotto la superficie. La stessa espulsione dei nostri 24 diplomatici annunciata ieri, in risposta ad analoga misura italiana delle scorse settimane, è anche una forma di dialogo. Dura, ma pur sempre meglio del silenzio.

Lo accennavamo ieri: pur fra le solite spacconate, lo stesso Putin si è mostrato sorprendentemente morbido nella vicenda della richiesta di Finlandia e Svezia a poter entrare nella Nato. Mentre la sua televisione grondava di simulazioni di attacchi nucleari, lui fissava paletti molto pragmatici. E questo nonostante la richiesta di adesione di Stoccolma ed Helsinki all’Alleanza Atlantica costituisca un clamoroso smacco per la sua politica. Sempre ieri abbiamo sottolineato la necessità di avere il coraggio e la fantasia necessari a sfruttare anche il tema del pagamento del gas per andare a ‘vedere’ le carte dell’avversario. Le sanzioni non si toccano e resteranno larchitrave della risposta dell’Occidente alla follia putiniana. Però, se si potesse sfruttare la risposta al ricatto sul pagamento in rubli per intavolare una trattativa e capire i margini offerti dal Cremlino, perché non farlo? Lunità dell’Occidente è un valore strategico ed è la nostra forza. Andrà preservata più che mai dora in poi, davanti a una Russia che comincia a inviare segnali contraddittori e da saper interpretare.

di Fulvio Giuliani

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