Draghi e Erdogan uniti contro la guerra
| Esteri
Si è concluso ieri l’incontro intergovernativo tra Italia-Turchia: 9 gli accordi firmati e fronte comune contro la guerra in Ucraina.

Draghi e Erdogan uniti contro la guerra
Si è concluso ieri l’incontro intergovernativo tra Italia-Turchia: 9 gli accordi firmati e fronte comune contro la guerra in Ucraina.
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Draghi e Erdogan uniti contro la guerra
Si è concluso ieri l’incontro intergovernativo tra Italia-Turchia: 9 gli accordi firmati e fronte comune contro la guerra in Ucraina.
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AUTORE: Massimiliano Lenzi
Ha scritto il critico Giorgio Manganelli che «ogni viaggio comincia con un vagheggiamento e si conclude con un invece». È la chimica dei desideri e del giusto che si scontra con la crudezza della realtà. Vale per i viaggi ma vale – ancor di più – per i grandi vertici politici internazionali che fanno incrociare uomini e mondi diversi. Come l’incontro che si è consumato ieri in Turchia tra il democratico, occidentale e leader di un’Italia libera Mario Draghi e il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan, democratico assai meno (ma parecchio assai!). Sul piatto del vertice vari ingredienti, a cominciare dal suo stesso realizzarsi. Il terzo vertice intergovernativo italo-turco di ieri infatti è anche il primo che si tiene negli ultimi dieci anni, dato che l’ultima volta era stato organizzato a Roma nel maggio 2012.
Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina il ruolo della Turchia – Paese Nato che dialoga ancora sia con la Russia che con Kiev – si è fatto centrale, anche per la furbizia camaleontica e la sveltezza politica di Erdoğan, capace di svolazzare come un tappeto volante da Oriente a Occidente e viceversa, questione dell’allargamento Nato a Svezia e Finlandia compresa. Una volubilità intransigente però su un punto, chiave, che ieri il presidente Draghi ha sottolineato nella conferenza stampa congiunta con Erdoğan: ci unisce la condanna dell’aggressione russa all’Ucraina. Sostanza.
Quanto al resto, guardando la lista dei ministri che ieri hanno accompagnato Draghi a casa dei turchi, si intuiscono subito gli interessi e le possibili convergenze sul piatto del bilaterale. Trasformandolo in qualcosa di più. Con il presidente del Consiglio italiano c’erano infatti Luigi Di Maio (Esteri), Lorenzo Guerini (Difesa), Luciana Lamorgese (Interno), Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico) e Roberto Cingolani (Transizione ecologica). Tradotto in soldoni: Ankara e Erdoğan hanno oggi un ruolo cruciale nel cercare una via di uscita possibile dalla guerra d’invasione russa in Ucraina e pure dal caos in Libia, a due passi dall’Italia, dove i turchi tengono da anni uno zampino ambivalente. Pietanze queste che riguardano gli Esteri e la Difesa ma pure l’Interno, dato che una crescente e continua destabilizzazione della Libia non potrà che dar vita a nuovi disastri e produrre altri migranti verso l’Europa, a cominciare dal nostro Paese.
Vi è poi il tema del gas e dell’energia, di cui la Turchia rappresenta, in tempi di sanzioni europee alla Russia, uno snodo chiave. Il che attiene anche al business, all’economia e ad accordi commerciali tra Roma e Ankara. Insomma, nel bilaterale tra Italia e Turchia si è incontrato un mondo sulla giostra delle proprie incertezze. Un mondo che, per le capacità di realpolitik mostrate da Mario Draghi, farebbe pensare che per una volta la politica sia andata oltre quell’invece di cui scriveva Manganelli. Se non verso un vagheggiamento, perlomeno incontro a un «Proviamoci».
Di Massimiliano Lenzi
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