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E il free speech? Licenziato pure Kimmel

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Jimmy Kimmel è stato messo in panchina dalla Disney, che controlla lo storico network ABC, per alcune sue dichiarazioni successive all’assassinio del pasionario ultraconservatore Charlie Kirk. Un ben curioso modo di applicare il leggendario free speech

E il free speech? Licenziato pure Kimmel

Jimmy Kimmel è stato messo in panchina dalla Disney, che controlla lo storico network ABC, per alcune sue dichiarazioni successive all’assassinio del pasionario ultraconservatore Charlie Kirk. Un ben curioso modo di applicare il leggendario free speech

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E il free speech? Licenziato pure Kimmel

Jimmy Kimmel è stato messo in panchina dalla Disney, che controlla lo storico network ABC, per alcune sue dichiarazioni successive all’assassinio del pasionario ultraconservatore Charlie Kirk. Un ben curioso modo di applicare il leggendario free speech

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Dopo Stephen Colbert e il suo “The Late Show”, è toccato a un altro dei volti più famosi della televisione americana. Forse il più famoso in assoluto: Jimmy Kimmel.
Giubilato anche lui (anche se è probabile un rientro dopo una fase di purgatorio) sull’altare del terrore sacro provato da alcuni dei più grandi network e mezzi di informazione statunitensi per l’ira funesta della Casa Bianca e del presidente Donald Trump.

Jimmy Kimmel è stato messo in panchina dalla Disney, che controlla lo storico network ABC, per alcune sue dichiarazioni successive all’assassinio del pasionario ultraconservatore Charlie Kirk nello Utah. Cosa aveva detto, in sintesi, Jimmy Kimmel al “Jimmy Kimmel Live!”?
Aveva sottolineato come i maga dessero l’impressione – per lui certezza – di voler cavalcare per finalità squisitamente politiche l’omicidio del giovane attivista.

Nessuna apologia di reato e men che meno di violenza nelle parole di Kimmel, piuttosto una tagliente critica dell’amministrazione Trump, del Presidente in particolare e in modo più specifico dell’America maga, come più volte capitato nello show del suo collega Colbert.
Sta di fatto che lo spettacolo è saltato “a tempo indeterminato”.

Ci chiediamo cosa stia accadendo alla libertà di espressione, critica e stampa negli Stati Uniti d’America. Ci chiediamo come sia possibile che si proceda con una così palese e indifferente tracotanza contro chiunque la pensi in modo diverso da Trump.
Quest’ultimo, da parte sua, ieri pomeriggio ha dichiarato che Kimmel è stato licenziato non per averlo attaccato, “Ma per mancanza di talento e gli ascolti bassissimi“. Dichiarazioni tragicomiche.

Il Presidente esulta, come aveva esultato per Colbert, per l’accantonamento di Kimmel. Il tutto, poche ore dopo aver fatto causa al New York Times per 15 miliardi di dollari…
Non ci vuole uno stratega per intravedere in tutto questo un piano coordinato, un’idea di occupazione del potere, anche attraverso l’intimidazione dei mezzi di informazione e delle voci più critiche, popolari e quindi considerate “pericolose”.

Un ben curioso modo di applicare il leggendario free speech, su cui il vicepresidente degli Stati Uniti d’America JD Vance venne a farci la lezione a Monaco di Baviera, imputando agli europei di aver dimenticato i principi base della democrazia e della libertà, a cominciare da quell’espressiva.
Il free speech Maga, fra licenziamenti accolti con la ola, cause miliardarie, minacce e atteggiamenti estorsivi, appare sempre più la libertà di propagandare il pensiero del capo. Stop. Una sola idea di America, di Paese, di mondo.

Eppure… i 12 milioni di abbonati digitali del New York Times, i Colbert e Kimmel all’evidenza devono fare paura. Perché c’è una cosa che la storia dovrebbe insegnare, ma puntualmente gli autocrati fanno finta di non vedere: gli anticorpi delle democrazie sono sempre stati molto più potenti di quanto credessero coloro che avevano deciso di distruggerle.

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