Economia russa
Descrivere la Russia e la sua economia come il Paese di Bengodi – isola quasi felice di essere stata sottoposta alle durissime sanzioni dell’Occidente – è diventata la nuova moda delle ultime settimane
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Descrivere la Russia e la sua economia come il Paese di Bengodi – isola quasi felice di essere stata sottoposta alle durissime sanzioni dell’Occidente – è diventata la nuova moda delle ultime settimane
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Descrivere la Russia e la sua economia come il Paese di Bengodi – isola quasi felice di essere stata sottoposta alle durissime sanzioni dell’Occidente – è diventata la nuova moda delle ultime settimane
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Descrivere la Russia e la sua economia come il Paese di Bengodi – isola quasi felice di essere stata sottoposta alle durissime sanzioni dell’Occidente – è diventata la nuova moda delle ultime settimane
Una moda social delle ultime settimane è descrivere la Russia e la sua economia come il Paese di Bengodi, isola quasi felice di essere stata sottoposta alle durissime sanzioni dell’Occidente. Ben paradossale lettura della reazione del mondo libero e democratico alla brutale aggressione all’Ucraina.
Comunque sia, Rete, tv e bar abbondano di tweet, post e sconclusionate analisi, sapientemente indirizzati dalla propaganda del Cremlino (come Vladimir Putin ha fatto ieri in prima persona a San Pietroburgo), dall’immancabile disinformatia digitale e da tanti putiniani volontari. Prima ancora di considerare l’impatto delle sanzioni, converrebbe ricordare a questi smemorati profeti della potenza economica russa che trattasi di un sistema basato solo sull’esportazione di materie prime. Un affare colossale che ha generato una delle caste oligarchiche più corrotte e impresentabili che si ricordino. Le immense ricchezze accumulate da pochissimi hanno determinato un volgare e sconfortante arricchimento quasi esclusivamente riservato al sistema di potere di Putin, ma hanno anche lasciato l’economia all’età della pietra. La Russia non produce e trasforma praticamente nulla ed esporta solo gas e petrolio. Vodka, caviale e matrioske non valgono nei grandi numeri.
Questo sarebbe il sistema economico spacciato da una sgangherata propaganda come una grande potenza. La dipendenza di Mosca dalle tecnologie industriali occidentali è pressoché totale, al punto che Gazprom – per giustificare l’interruzione delle forniture di gas all’Europa – ricorre alla scusa di guasti non risolvibili a causa dell’embargo di tecnologia e assistenza dell’Ovest. Certo, c’è Pechino a cui consegnarsi mani e piedi, ma è dall’inizio della guerra che ricordiamo quanto gli interessi dei cinesi siano esclusivamente i loro. Concetto ribadito appena tre giorni fa da Xi Jinping.
Altro classico è la teoria secondo la quale le sanzioni farebbero molto più male a noi che a loro. A sostegno di questa bizzarra tesi – suggerita ieri anche dallo zar – il rafforzamento del rublo, manco stessimo parlando del dollaro o dell’euro. Primo: vero, il rublo è 56 per un dollaro, dopo aver sfiorato con la guerra i 140. Secondo: la Banca centrale russa, guidata da una delle personalità meno integrate nel cerchio magico del Cremlino, Elvira Nabiullina, si sta svenando per sostenere in questo modo una valuta che a livello internazionale non funge da riferimento a nulla. Aiuta e molto il governo in un momento in cui non può finanziarsi sui mercati, ma cosa si vende, compra e calcola in rubli fuori dalla Russia?
Mosca sta disperatamente cercando di pagare 100 milioni di dollari di cedole sul proprio debito, il cui periodo di grazia (i 30 giorni concessi dopo il primo mancato pagamento) scadrà fra otto gironi. Poi sarà default, il primo per la Russia in 100 anni.
Non ci sogneremmo di sostenere che le sanzioni non abbiano un costo anche da questa parte di quello che fu il Muro ma da qui a essere d’accordo con il Putin di ieri, secondo il quale le soffriremmo solo noi, c’è un oceano. Di menzogne.
Il progressivo taglio delle forniture di gas al nostro Paese, come alla Germania, è un problema che sta assumendo dimensioni immediate e preoccupanti. In questi giorni di caldo torrido persino più tangibile, con i condizionatori che vanno a manetta, ma la partita la conosciamo e la risposta non potrà che essere europea. La Russia, invece, sta scivolando verso un’inevitabile dipendenza politica ed economica dalla Cina. Non potrà che esportare sempre più petrolio verso Pechino o l’India, mentre il gas che non arriva da noi non andrà da nessuna parte, almeno per i prossimi 5 o 10 anni. Soldi che non si rimpiazzano.
L’Occidente non ha voluto (neppure immaginato, in verità) questa guerra e ne sta pagando le conseguenze, insieme a un’inflazione solo in parte generata dal conflitto. Problemi che non abbiamo bisogno di nascondere dietro volgari insulti da bettole di terz’ordine, si veda Medvedev. Un indice che andrebbe valutato per quello che è: paura, nervosismo e impotenza. Con buona pace di propagandisti, pifferai prezzolati ed eserciti di bot.
Di Fulvio Giuliani
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