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Famiglia sterminata in Ucraina

Famiglia sterminata in Ucraina: morti in 26, anche un neonato

L’incredibile testimonianza di Olga dall’Ucraina, che parla per la prima volta alla stampa. 26 persone della sua famiglia sono state uccise mentre tentavano di scappare. Con molte di queste, però, non parlava più.

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Famiglia sterminata in Ucraina: morti in 26, anche un neonato

L’incredibile testimonianza di Olga dall’Ucraina, che parla per la prima volta alla stampa. 26 persone della sua famiglia sono state uccise mentre tentavano di scappare. Con molte di queste, però, non parlava più.

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Famiglia sterminata in Ucraina: morti in 26, anche un neonato

L’incredibile testimonianza di Olga dall’Ucraina, che parla per la prima volta alla stampa. 26 persone della sua famiglia sono state uccise mentre tentavano di scappare. Con molte di queste, però, non parlava più.

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L’incredibile testimonianza di Olga dall’Ucraina, che parla per la prima volta alla stampa. 26 persone della sua famiglia sono state uccise mentre tentavano di scappare. Con molte di queste, però, non parlava più.

Il più piccolo aveva solo 5 mesi, il più anziano 78 anni. Sono morti entrambi e con loro altre 24 persone, tutte della stessa famiglia. Fa impressione scriverlo; viverlo è un incubo che supera i confini dell’immaginabile.

È la prima volta che Olga Pentkevich-Len parla con la stampa e siamo grati che abbia deciso di aprire il suo cuore straziato proprio a noi. È una donna di 38 anni, i capelli biondi, quel tipico sguardo tagliente dell’Est, le labbra carnose, di una bellezza che non passa inosservata. Quello che colpisce di lei però è la sua anima, ormai svuotata da tanto dolore. «La mia è una famiglia numerosa» prova a spiegare. «O meglio lo era. Eravamo in 31, ora siamo in 5. Hai capito bene: 26 persone della mia famiglia non esistono più. Hanno perso la vita in questi due mesi, mentre cercavano di scappare dalla guerra. Mio nipote era solo un neonato e gli hanno sparato».

Ventisei è il numero grazie al quale abbiamo intercettato la storia di Olga, in una chat di ex compagni di scuola che si sono cercati online per sapere se erano tutti vivi. È qui che a un certo punto lei ha scritto «- 26». Nessuno però ne ha capito il significato, chi poteva immaginare tanto? Chi ha pensato a un refuso, chi a un numero di troppo. Non lo ha fatto Maryna Sokolovska (sua ex compagna di banco che ci ha fatto da interprete in questa intervista), che le ha chiesto cosa intendesse con quel messaggio, intuendo che la storia dell’amica dovesse essere raccontata perché il mondo sapesse. «Io sono cresciuta a Lugansk, nel Donbass – continua Olga – e quando nel 2014 è iniziata la guerra la mia famiglia si è spaccata letteralmente in tre tra chi stava dalla parte dei russi, chi si sentiva più ucraino e chi nemmeno ci pensava a con chi stare. Poi, col passare degli anni e la guerriglia incessante, molti di quelli che millantavano di essere filorussi hanno cambiato idea. Non tanto per un senso di appartenenza all’Ucraina, piuttosto perché hanno provato sulla loro pelle cosa significhino davvero le parole russkiy mir (il cosiddetto “mondo russo”, quel principio nazionalista che respinge ogni possibilità di integrazione della Russia con l’Occidente, ndr.). Nel Donbass non si può più vivere ma solo provare a sopravvivere».

I parenti che sono rimasti in questa regione disgraziata, che 8 anni fa ha dichiarato la propria indipendenza con referendum mai riconosciuti dalla comunità internazionale, avevano smesso di parlarle per via delle sue posizioni filo ucraine. Oggi non ci sono più, sono tutti morti tra le bombe. Olga è convinta che parte della colpa sia anche loro «perché anni fa, quando ancora si poteva scegliere da che parte stare, hanno deciso il lato sbagliato. Sono stati i loro ‘fratelli’ russi ad ammazzarli mentre cercavano di fuggire, non noi. Spero che Dio mi perdoni per queste parole».

In Ucraina sono in tanti a credere che grazie a questa guerra – nonostante tutto l’orrore che porta con sé – si potrà definire una volta per tutte chi si sente ucraino e chi no. «Qui c’era troppa gente che di ucraino aveva solo il passaporto» puntualizza Olga. «Da tutto questo sangue e dolore sta nascendo qualcosa di incredibilmente forte che nemmeno noi sapevamo di avere». A lei resterà il rammarico di non potersi più spiegare con quella parte della famiglia che se ne è andata per sempre. Mai più avranno l’occasione di trovare la loro pace.

I morti sul terreno di guerra sono soltanto l’ultima scena di un film che comincia molto prima e che parte prendendo di mira il cuore delle persone, anestetizzandolo, privandolo di ogni emozione che si avvicini all’amore. E l’amore è una delle strade che, inevitabilmente, deve percorrere chi la pace la vuole veramente.

  di Ilaria Cuzzolin

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