Per comprendere la crisi politica e militare in Ucraina dobbiamo capire alcune questioni che si intrecciano fra loro. Il primo problema sono i confini fra Russia e Unione europea. Queste due a Nord confinano tramite la Finlandia, la Lettonia e l’Estonia; in tutta l’Europa dell’Est non esiste invece un confine diretto: la Bielorussia e l’Ucraina fanno da cuscinetto per circa 2.500 km. Lo spessore era molto più ampio durante il patto di Varsavia, quando Polonia, Ungheria, Bulgaria, Cecoslovacchia e Romania erano affiliate all’Urss. Adesso le stesse sono inserite nell’Unione europea e a preoccupare molto il Cremlino è il rischio che anche l’Ucraina e la Bielorussia possano seguire il loro esempio. A differenza della Bielorussia, completamente sotto il controllo russo, l’Ucraina è infatti tentata a spingersi verso l’Europa. Kiev si prepara a presentare domanda ufficiale di adesione all’Unione nel 2024 con l’obiettivo di aderire effettivamente nel 2030, e questo permetterebbe alla Nato di avvicinarsi ancor più a Mosca.
Nel 2008 gli Usa avevano già chiesto di annettere l’Ucraina all’Alleanza Atlantica ma Italia, Francia e Germania avevano posto il veto. Questo perché il rischio di ritorsioni da parte di Putin sarebbe stato altissimo, soprattutto per quanto riguarda le forniture di metano. Il 38% del gas che arriva in Europa è infatti dell’azienda russa Gazprom. La fornitura energetica è quindi il secondo punto di tensione. Le forniture di gas russo avvengono attraverso il gasdotto ucraino e lo Yamal (che attraversa Bielorussia e Polonia) e che in caso di conflitto verrebbero chiusi. Per l’instabilità di questi territori sono stati costruiti altri due gasdotti: i Nord Stream che passano nel Mar Baltico escludendo i Paesi dell’Europa dell’Est. Ma anche questi potrebbero essere bloccati in caso di rappresaglia. Il problema non è di poco conto: in Europa ci sono riserve di gas solo per nove settimane e in caso di chiusura dei rubinetti russi la crisi energetica sarebbe gravissima. Potremmo certo chiedere aiuto alle metaniere di Stati Uniti e Qatar ma a costi molto elevati. E chi pensa che l’Europa rappresenti l’unico mercato possibile per la Russia non deve dimenticare che Mosca già nel 2014 ha firmato un accordo per la fornitura di metano alla Cina.
Il terzo punto della questione sono i rapporti diretti fra Kiev e Mosca. L’Ucraina è da tempo divisa in due fazioni sempre più distinte: l’Ovest proiettato verso l’Europa e l’Est verso la Russia. Ma la crisi fra i due Paesi non è solo di questi giorni. Dopo la Rivoluzione ucraina che nel 2014 instaurò un governo filo europeo si scatenò nelle regioni sudorientali una vera e propria guerra civile. L’intervento militare russo spinse la penisola di Crimea ad autoproclamarsi indipendente e a entrare di fatto nella Federazione russa anche senza alcun riconoscimento dell’Ucraina e della comunità internazionale. Ancora oggi alcune regioni orientali, in particolare il Donbass, potrebbero seguire il percorso della Crimea. Per questo motivo Mosca sta ripetendo lo stesso schema applicato nel 2014, ammassando oltre 100mila soldati lungo il confine pronti a intervenire.
È probabile quindi che nei prossimi mesi anche il Donbass potrà rivendicare l’indipendenza, togliendo all’Ucraina l’1,6% del suo Pil. Dopo la fine dei blocchi della Guerra fredda, un accordo pare verbale stabilì che i Paesi dell’ex Urss non sarebbero entrati nella Nato ma poi nacque il Partenariato per la pace, un programma per avvicinare alla Nato tutta l’Europa dell’Est. Bill Clinton ottenne quindi che tutti i negoziati per l’ingresso nella Ue siano preceduti da una sostanziale adesione ai princìpi della Nato. Per questo motivo gli ingressi nell’Alleanza Atlantica e nell’Unione europea sono legati indissolubilmente ed è forse per questo che l’Ucraina continuerà a rimanere solo una terra di confine. In fondo è proprio questo il significato etimologico del suo nome.
di Massimiliano Fanni Canelles
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