Francia al ballottaggio, con rabbia
Sapremo stasera il grado di governabilità o ingovernabilità della Francia, una cosa però la sappiamo già: protagonista di questo doppio turno francese è la rabbia
Francia al ballottaggio, con rabbia
Sapremo stasera il grado di governabilità o ingovernabilità della Francia, una cosa però la sappiamo già: protagonista di questo doppio turno francese è la rabbia
Francia al ballottaggio, con rabbia
Sapremo stasera il grado di governabilità o ingovernabilità della Francia, una cosa però la sappiamo già: protagonista di questo doppio turno francese è la rabbia
Sapremo stasera il grado di governabilità o ingovernabilità della Francia, una cosa però la sappiamo già: protagonista di questo doppio turno francese è la rabbia
Sapremo stasera il grado di governabilità o ingovernabilità della Francia. Quanto sarà stato un pericoloso buco nell’acqua o meno l’azzardo del presidente Emmanuel Macron di andare a elezioni generali dopo la disfatta delle europee. In estrema sostanza, se il blocco repubblicano – già visto tanti anni fa – sarà infine riuscito a contenere l’assalto dell’ultradestra e con quali prezzi politici da pagare.
Sapremo tutto, ma qualcosa la sappiamo già: la grande protagonista di questo doppio turno francese è la rabbia. Non una novità per le elezioni transalpine e tanti altri appuntamenti elettorali in giro per l’Europa negli ultimi anni, eppure con questa rabbia non riusciamo a fare i conti. Figurarsi la pace.
Non è l’umanissima, buffa e tutto sommato tenera rabbia del film-capolavoro Inside Out, di cui è appena uscito un folgorante sequel. Sul grande schermo è personificata la rabbia dei bambini, un sentimento innato con cui con il passare degli anni impariamo a fare i conti e soprattutto a convivere.
No, la protagonista a urne aperte in Francia è una rabbia sorda, totalizzante, la caccia costante a un nemico da abbattere, distruggere, identificare come responsabile di tutte le proprie difficoltà e – sopra ogni altra cosa – i propri fallimenti. È la rabbia su cui da sempre soffia il partito della Le Pen, senza curarsi delle conseguenze potenzialmente catastrofiche per il Paese. La rabbia che – cavalcando indiscutibili, reiterati e talvolta sconcertanti errori di chi ha gestito passaggi storici di straordinaria complessità e delicatezza – crede di trovare la soluzione di tutto nella furia populista, nella caccia al “grande vecchio”, al “potere occulto e forte”, agli affamatori del popolo.
Tutte fantasie, come ampiamente dimostrato dalle esperienze italiana e inglese con svariate forme di populismo al potere: non c’erano stanze dei bottoni da espugnare o scatole di tonno da aprire e di tante roboanti parole sono rimaste solo le macerie di un’idea della politica “anti“, improntata al dilettantismo sfrenato e a inseguire sempre e soltanto la pancia della gente. Perché illudersi di poter controllare quella rabbia cieca, una volta alimentata e soprattutto delusa, porta allo sfacelo conosciuto dalle nostre parti dal Movimento 5 Stelle o in Gran Bretagna dai conservatori, transitati con scelleratezza dalla tradizionale politica moderata allo stomaco profondo del populismo modello “Brexit dura“.
In Francia, questa rabbia non è certo appannaggio solo del Rassemblement National, ma ha radici profondissime anche nell’alleato di giornata a sinistra di Macron. Il populismo sinistroide di un Melanchon non ha nulla a che vedere con la tradizione socialista, la grande politica progressista transalpina di un Mitterrand. È un altro confuso grumo di furia incontrollabile e tutti i politici che credono di costruirci sopra le proprie fortune stanno solo comprando un giro di giostra, prima di diventare il prossimo bersaglio.
Di Fulvio Giuliani
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