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Gaza, quanto è lontana la Pace dopo la festa

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Sappiamo tutti in quale contesto si è arrivati all’intesa firmata a Sharm el-Sheikh su Gaza e che alla cerimonia le parti in causa non erano neppure presenti

Gaza, quanto è lontana la Pace dopo la festa

Sappiamo tutti in quale contesto si è arrivati all’intesa firmata a Sharm el-Sheikh su Gaza e che alla cerimonia le parti in causa non erano neppure presenti

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Gaza, quanto è lontana la Pace dopo la festa

Sappiamo tutti in quale contesto si è arrivati all’intesa firmata a Sharm el-Sheikh su Gaza e che alla cerimonia le parti in causa non erano neppure presenti

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Quanto è difficile risvegliarsi dopo le giornate “storiche”. Quanto è complesso, dopo aver provato un’umana e così piacevole ondata emotiva, avere la netta sensazione di aver appena fatto il primo passo. Forse.

Con lo scemare dell’impatto mediatico, sarà giocoforza più difficile mantenere gli occhi del mondo su quella disgraziata striscia di terra e ancor più necessario raggiungere risultati concreti.
Perché ben presto il sia pur fondamentale scambio ostaggi-prigionieri e la ripresa di un afflusso regolare di aiuti umanitari finiranno per non bastare più.

È già successo, dopo firme di ben altro peso. Ci riferiamo a Oslo nel 1993 e alla breve stagione successiva, fino all’omicidio di Yytzhak Rabin due anni più tardi.

Sappiamo tutti in quale contesto si è arrivati all’intesa firmata a Sharm el-Sheikh e che alla cerimonia le parti in causa non erano neppure presenti. Per Oslo c’erano, la storica fotografia di Arafat e Rabin a Washington è stampata nella nostra memoria. Lunedì, la fotografia ritrae Donald Trump, il presidente Egiziano Al Sisi, l’emiro del Qatar, il presidente turco e così via.
Non ci sono israeliani e non ci sono palestinesi.

Per essere più precisi, gli israeliani Trump li avrebbe voluti portare di peso in Egitto, ma il “sultano” Erdoğan si è opposto minacciando di far saltare tutto. Questo è il contesto.
Come non possiamo dimenticare che nella giornata della gioia e della speranza il presidente degli Stati Uniti abbia buttato lì – come fosse una cosa normale – la concessione invero clamorosa ad Hamas dell’attività di polizia nella Striscia di Gaza. Come se nella Germania del dopoguerra a controllare il traffico ci fossero stati gli uomini della Gestapo.

Ha aggiunto “per un breve periodo” ma stiamo parlando di quegli stessi soggetti che hanno già cominciato a regolare conti con gli oppositori interni ammazzandoli nella Striscia.

Non abbiamo la più pallida idea di chi sarà il capo del governo della Striscia. I fantomatici tecnocrati palestinesi verranno trovati in qualche modo, ma la figura di riferimento non è un dettaglio: Tony Blair ha raccolto il No secco di Hamas (del tutto prevedibile) e non gode di alcuna popolarità fra i palestinesi. L’idea di mettere un inglese a capo della struttura significa voler giocare con il fuoco della storia. Il mandato britannico si esaurì in un fallimento sanguinoso nel 1948, sfociando nella prima guerra arabo-israeliana, nella dichiarazione di indipendenza dello Stato Israele e in quella che per i palestinesi e a tutt’oggi la Nakhba. La “catastrofe”. Un azzardo evitabile, quello di Blair.

L’ipotesi circolata nelle ultime ore che possa essere il presidente egiziano Al Sisi a capo della struttura di controllo, con la benedizione di Donald Trump, appare una soluzione quantomeno più gestibile.

È la matassa intricatissima di sempre, a ricordare l’enormità della montagna da scalare e la necessità di restare aggrappati a una road map intrisa di realismo.

di Fulvio Giuliani

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