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Genuflessi da te

Fatichiamo a riconoscere gli Stati Uniti d’America così come li abbiamo sempre vissuti e percepiti. Ora anche i magnati dell’economia si piegano al potere

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Fatichiamo a riconoscere gli Stati Uniti d’America così come li abbiamo sempre vissuti e percepiti. Ora anche i magnati dell’economia si piegano al potere

Fatichiamo a riconoscere gli Stati Uniti d’America così come li abbiamo sempre vissuti e percepiti. Una terra dalle infinite contraddizioni ma animata da una tensione costante, irrefrenabile – a tratti persino ingenua – verso un’idea di felicità collettiva. L’America dei cittadini in armi sbarcati in Sicilia e Normandia per liberare l’Europa dal mostro nazifascista. Un Paese diviso in due grandi blocchi ma unito da una coerenza di fondo. In grado di proiettarci la granitica certezza (anche in chi lo osteggiava…) che l’adesione a quell’insieme di valori e modelli corrispondesse all’impegno da parte Usa di garantire la nostra difesa e sicurezza.

Certezze che si stanno sfarinando davanti ai nostri occhi. Molto più in queste settimane seguite al secondo trionfo elettorale di Donald Trump che nello stesso primo mandato. Ci sono i toni del presidente eletto, le minacce clamorose, la mancanza di rispetto ostentata nei confronti di alleati storici e addirittura popoli fratelli. Come nel caso del Canada. Questo non ha nulla a che vedere con la storia della Repubblica degli Stati Uniti da qualsiasi angolazione la si voglia guardare.

Per far ciò Trump ha bisogno dei nuovi e vecchi amici delle big tech. Altra novità assoluta della seconda era Trump è proprio la corsa affannosa di alcuni dei magnati più ricchi e potenti della Terra a ingraziarsi il presidente eletto. Nessuno dei magnati della tecnologia si è mai mostrato disinteressato alle leve del potere. E non siamo così ingenui da dipingere uomini come Bill Gates, Steve Jobs, Larry Page, Sergey Brin, Larry Ellison e compagnia bella come dei benefattori dell’umanità e paladini della sacra indipendenza della libertà d’impresa dal potere. Ma – come abbiamo più volte sottolineato scrivendo di Musk – nessuno di loro ha coltivato ambizioni di governo ed esercizio diretto del potere esecutivo. O si è piegato senza scrupoli alla nuova amministrazione.

Mark Zuckerberg è emblematico. Annunciando il tramonto dei fact checker negli Stati Uniti, il capo di Meta non ha esitato ad attaccare l’Europa, spacciando la fandonia dell’ansia di censura da parte delle istituzioni unitarie. Una balla, perché in realtà la normativa a tutela della privacy dell’Ue è all’avanguardia mondiale. Così come è dai tempi arcaici di Microsoft Explorer che l’Unione è la bestia nera degli eccessi di concentrazioni digital. Non a caso odiata da Musk e dal suo X.

Al fondatore di Facebook la genuflessione è valsa il palco d’onore nell’inaugurazione presidenziale di domani, ma questi sono affari suoi. Ci sarà sempre tempo per una genuflessione uguale e contraria. Il problema è l’impatto su un’opinione pubblica che nell’era della più ampia disponibilità di fonti della storia – che paradosso – sembra adattarsi con entusiasmo alle teorie più semplicistiche e banali purché rassicuranti. Il trionfo della massa sulla coscienza e sulla preparazione dell’individuo: un tradimento atroce di uno dei fondamenti del sogno americano.

Di Fulvio Giuliani

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