Germania, il rischio di un governo debole
Il voto di oggi è solo il primo tempo di una lunga partita mentre la campagna elettorale si è trasformata in un esercizio di confusione strategica. La vera incognita resta la coalizione
Germania, il rischio di un governo debole
Il voto di oggi è solo il primo tempo di una lunga partita mentre la campagna elettorale si è trasformata in un esercizio di confusione strategica. La vera incognita resta la coalizione
Germania, il rischio di un governo debole
Il voto di oggi è solo il primo tempo di una lunga partita mentre la campagna elettorale si è trasformata in un esercizio di confusione strategica. La vera incognita resta la coalizione
Il voto di oggi è solo il primo tempo di una lunga partita mentre la campagna elettorale si è trasformata in un esercizio di confusione strategica. La vera incognita resta la coalizione
Berlino – Friedrich Merz ha iniziato la campagna elettorale coltivando un sogno ambizioso: risanare e trasformare la Germania con un’Unione (Cdu-Csu) capace di imporsi con forza, guidando il Paese verso una nuova era di stabilità e crescita. L’obiettivo è chiaro: un risultato elettorale netto, doppio rispetto a quello del suo futuro partner di governo, che garantisca alla Cdu una solida maggioranza e il margine necessario per imporre la propria politica. Ma la campagna elettorale, invece di essere un trionfo di visione e coerenza, si è trasformata in un esercizio di confusione strategica. E i sondaggi negli ultimi giorni hanno cominciato a far paura: il 30% è rimasto sempre una barriera difficile da superare, ma ora si materializza all’orizzonte il peggiore degli scenari: dover condividere il governo non con uno, ma con due partiti. La prospettiva di una coalizione a tre – inevitabilmente con Spd e Verdi – è diventata più concreta per il recupero dei piccoli partiti, alcuni dei quali potrebbero centrale la soglia del 5% per entrare nel Bundestag, parcellizzando la distribuzione dei seggi. Per Merz un incubo politico che renderebbe difficili le riforme promesse.
Dietro le quinte, il malcontento serpeggia nei corridoi della Konrad Adenauer Haus, la sede della Cdu: si teme di aver sbagliato campagna elettorale, un rimpianto pesante per un partito che ha sempre basato il suo successo sulla disciplina e sulla chiarezza del messaggio. Anche le scelte stilistiche sono diventate motivo di discordia: il nuovo colore turchese dei manifesti ha suscitato critiche e resistenze, tanto che alcuni candidati hanno optato per un ritorno al bianco più tradizionale.
La strategia iniziale poggiava su due pilastri classici: economia e sicurezza. Tuttavia, l’attentato di Aschaffenburg ha costretto Merz a spostare l’attenzione sulla migrazione, un tema delicato che lo ha portato a incontrarsi e poi a scontrarsi direttamente con AfD. Il rischio era quello di apparire più reattivo che propositivo, senza una narrazione chiara che potesse restituire alla Cdu la leadership culturale e politica del dibattito. Lutz Meyer, esperto di comunicazione, non ha risparmiato critiche: la campagna è stata sterile, impersonale, incapace di trasmettere fiducia, ha detto al quotidiano economico-finanziario “Handelsblatt”. Merz, che avrebbe dovuto incarnare una leadership carismatica e autorevole, è apparso sbiadito e quasi privo di slancio. Un denominatore comune di tutti i partecipanti alla corsa: proprio la debolezza degli altri candidati potrebbe avergli lasciato aperta la strada per diventare il decimo cancelliere della Germania. Non per entusiasmo popolare, ma per mancanza di alternative convincenti.
La vera incognita resta la coalizione. Una Cdu forte potrebbe dettare le condizioni, ma se il risultato dovesse rivelarsi al di sotto delle aspettative sarà costretta a negoziare con partiti dalle visioni divergenti, rischiando di rimanere intrappolata in un governo di compromessi, più che di cambiamento. Invece che semplici partner di governo, Spd e Verdi diverrebbero arbitri della stabilità, minando la capacità di Merz di imporsi come leader indiscusso. Un film già visto e che è costato la parte del protagonista a Olaf Scholz. Il voto di domenica è dunque soltanto il primo tempo di una partita che si annuncia lunga: il problema è che il resto del mondo corre e non aspetta.
Di Pierluigi Mennitti
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