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Guerre a New York

In queste ore tutto ciò che riguarda la politica estera, gli scenari e le possibili sorti del mondo sta accadendo a New York

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In queste ore tutto ciò che riguarda la politica estera, gli scenari e le possibili sorti del mondo sta accadendo a New York

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In queste ore tutto ciò che riguarda la politica estera, gli scenari e le possibili sorti del mondo sta accadendo a New York

In queste ore tutto ciò che riguarda la politica estera, gli scenari e le possibili sorti del mondo sta accadendo a New York. Non per caso bensì perché in città si è svolta l’Assemblea generale e i lavori dell’Onu, alla faccia di quelli – e sono tanti, troppi, soprattutto fra i giornalisti e i politici – convinti che le Nazioni Unite siano inutili. Sbagliato, e ribadito ciò andiamo alla ciccia delle giornate.

Che comincia con l’intervento del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu all’Assemblea generale. La guerra a Gaza può finire adesso – ha spiegato al mondo – se Hamas si arrende e libera gli ostaggi, ma se questo non accadrà Israele «combatterà fino a raggiungere la vittoria, una vittoria totale». Non solo contro Hamas, perché «Israele sconfiggerà anche Hezbollah in Libano» ha aggiunto. Sottolineando che «Hezbollah ha ucciso più cittadini americani e francesi di qualunque altro gruppo (terroristico, ndr.) a parte Osama bin Laden e che ha attaccato Israele senza esser provocato». Politicamente il messaggio è chiaro: chi s’aspettava un leader israeliano disposto a negoziare senza aver prima sconfitto Hamas e sradicato Hezbollah si sbagliava. La sua impostazione all’Onu – dove nei giorni scorsi il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha attaccato Netanyahu paragonandolo a Hitler (e ancora ieri dandogli del killer) – è chiara: non ci può essere pace possibile in Medio Oriente senza la resa di Hamas e la sconfitta di Hezbollah.

Il che porta dritti al tema dell’Iran, il Paese degli ayatollah che sostiene sia Hamas che Hezbollah. Riguardo a Teheran il primo ministro israeliano è stato altrettanto tranchant: «Ho un messaggio per i tiranni di Teheran: se ci colpite, noi colpiremo voi. Non c’è posto in Iran dove il lungo braccio di Israele non possa arrivare». Poi ha aggiunto che Tel Aviv farà «tutto ciò che è in suo potere per assicurarsi che l’Iran non ottenga l’arma nucleare», ribadendo che se Teheran attaccherà Israele sarà colpita. Un discorso duro che zittisce tutti coloro che parlano dell’Onu come di un luogo di buonismi.

Un discorso che dà il la pure al parlare dell’Ucraina. Il leader di Kiev Volodymyr Zelensky, nel suo recente intervento alle Nazioni Unite, ha evidenziato come le libertà dell’Occidente passino dalla difesa dell’indipendenza dell’Ucraina dall’invasione russa e da una vittoria nel conflitto. Un tema, questo delle guerre, che è entrato pure nella campagna elettorale per le presidenziali americane di novembre. Dopo le parole di Joe Biden che annunciavano altri 8 miliardi di aiuti militari per Kiev, è stato – sempre a New York – il giorno dell’incontro fra Zelensky e il candidato repubblicano Donald Trump, incontro politicamente interessante considerate le critiche dei repubblicani Usa al presidente ucraino (da loro considerato troppo vicino ai democratici).

Trump ha definito un onore e un buon segnale l’incontro con Zelensky, ribattezzato «un uomo d’acciaio». Il presidente ucraino ha fatto sapere che è d’accordo col tycoon che la guerra vada fermata. E infine Trump ha spiegato d’aver un buon rapporto con Zelensky e un buon rapporto con Putin. Peccato il sillogismo non funzioni: io amico di Zelensky. Io amico di Putin. Ma Zelensky e Putin non amici.

di Massimiliano Lenzi

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