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Narcotraffico e guerriglia nella terra di nessuno fra Colombia e Venezuela

La frontiera tra Colombia e Venezuela è sempre più instabile, preda di lucrosi affari criminali a costo di vite innocenti. Tanto che anche l’ex portiere René Higuita si è esposto per mediare con due temute formazioni guerrigliere.
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Narcotraffico e guerriglia nella terra di nessuno fra Colombia e Venezuela

La frontiera tra Colombia e Venezuela è sempre più instabile, preda di lucrosi affari criminali a costo di vite innocenti. Tanto che anche l’ex portiere René Higuita si è esposto per mediare con due temute formazioni guerrigliere.
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Narcotraffico e guerriglia nella terra di nessuno fra Colombia e Venezuela

La frontiera tra Colombia e Venezuela è sempre più instabile, preda di lucrosi affari criminali a costo di vite innocenti. Tanto che anche l’ex portiere René Higuita si è esposto per mediare con due temute formazioni guerrigliere.
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La frontiera tra Colombia e Venezuela è sempre più instabile, preda di lucrosi affari criminali a costo di vite innocenti. Tanto che anche l’ex portiere René Higuita si è esposto per mediare con due temute formazioni guerrigliere.
René Higuita è quel tizio stravagante, con un trapezio di capelli ricci e compatti poggiato sulle spalle, che un tempo faceva il portiere della nazionale colombiana. Ed è anche l’uomo che accettò l’invito di Pablo Escobar a giocare una partita ne “La Catedral”, il carcere di lusso che il boss si fece costruire su misura per mettersi al riparo dai suoi nemici. La Colombia è ancora teatro delle violenze scatenate dall’azione di narcotraffico e guerriglia, repliche di un terremoto che ha scosso per oltre cinquant’anni anni il Paese. Higuita, che fa ora l’allevatore nella regione del Magdalena Medio, ha rivolto a fine dicembre un ‘saluto’ ai capi di due temute formazioni guerrigliere, per essere esentato dal pagamento del pizzo. «A noi allevatori, gente che da tempo si è stabilita in questa regione, la cosa sta diventando difficile» dice l’ex portiere rendendosi disponibile a un incontro «quando volete, per dialogare e rendere più sostenibile la situazione in questo paradiso. Un forte abbraccio, buon Natale e un felice anno nuovo». L’episodio va ben oltre il folclore. Anche perché ora, a cavallo tra Colombia e Venezuela sta succedendo di tutto. Coperta da una vegetazione impenetrabile o inerpicata sulla testa delle Ande, gran parte della frontiera è terreno di lucrosi traffici criminali, soprattutto droga ma non solo. C’è l’oro, strappato col sangue da miniere clandestine, ci sono benzine e carburanti, capi di bestiame e pezzi di ricambio di auto usate, per non parlare del controllo del traffico di migranti reso più redditizio dalla chiusura delle frontiere: tutto ciò che oltre il confine aumenta di valore, fa brodo. Un pezzo di Sudamerica appetito da chi cerca denaro e potere, oggi soprattutto dall’Esercito di liberazione nazionale (Eln) e dai gruppi delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) che non hanno aderito agli accordi di pace del 2016: vestigia della sfumata rivoluzione marxista-leninista, sempre più indistinguibili dalla criminalità comune. L’ultima fiammata di violenza, forse frutto della lotta di potere scatenata dalla recente morte di alcuni leader criminaliha causato da inizio anno una trentina di morti e la solita quanto penosa fuga di civili. Con l’eterno duello politico sullo sfondo: la Colombia che accusa il Venezuela di ospitare e proteggere i gruppi armati; il Venezuela che denuncia l’invasione dei criminali che la Colombia non saprebbe tenere a bada. di Raffaele Bertini

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