Una scelta che fa la differenza
È arrivata sino a noi l’eco delle dimissioni del capo di stato maggiore dell’Idf (Israel Defense Forces), Herzi Helevi
Una scelta che fa la differenza
È arrivata sino a noi l’eco delle dimissioni del capo di stato maggiore dell’Idf (Israel Defense Forces), Herzi Helevi
Una scelta che fa la differenza
È arrivata sino a noi l’eco delle dimissioni del capo di stato maggiore dell’Idf (Israel Defense Forces), Herzi Helevi
È arrivata sino a noi l’eco delle dimissioni del capo di stato maggiore dell’Idf (Israel Defense Forces), Herzi Helevi
È arrivata sino a noi l’eco delle dimissioni del capo di stato maggiore dell’Idf (Israel Defense Forces), Herzi Helevi. Il N.1 dell’esercito israeliano ha lasciato il suo incarico con motivazioni che non lasciano spazio a interpretazioni. Rileggiamo le sue parole: “Tsahal – l’esercito israeliano, ndr – sotto il mio comando ha fallito nella missione di proteggere i cittadini. Questa disfatta mi accompagnerà ogni giorno, ogni ora e sarà così per il resto della mia vita”. Herzi Helevi scrive del 7 ottobre 2023.
Un’assunzione di responsabilità piena, consapevole e indiscutibile. Un atteggiamento che stride nei fatti con la rimozione da parte del premier Benjamin Netanyahu, massimo responsabile politico del disastro di intelligence e operativo del pogrom che insanguinò il Paese. Non c’è nessuna polemica diretta, neppure un accenno nelle parole del capo di Stato maggiore, perché sarebbero stati in ogni caso irrituali, istituzionalmente pericolosi e tanto per cominciare superflui. Il Paese sa.
Il generale si assume una responsabilità e ne trae le conseguenze, ha fatto il suo lavoro fino a quando ha ritenuto fosse utile al Paese e ne ha avuto la forza psicofisica. Si è assunto l’onere di operazioni che sono state bollate a livello internazionale – in Libano ma molto di più nella Striscia di Gaza – come sproporzionate e devastanti, foriere di frutti politici avvelenati negli anni a venire.
Poi ha chiuso, perché come lui stesso sottolineato la ferita del 7 ottobre lo perseguiterà per tutta la vita e i conti sono prima o poi da fare.
Un soldato è stato molto più politico di tanti politici di Israele. Ha riconosciuto implicitamente la sostanziale e fondamentale differenza fra uno Stato di diritto e i regimi autocratici che circondano da sempre la sua patria. Siamo tutti sottoposti alla legge, prima ancora che al giudizio della storia e non si può sfuggirvi in eterno.
Se abbiamo voluto scrivere dell’ormai ex capo di Stato maggiore è perché il suo ci è sembrato un gesto, oltre che onesto, di un cittadino in armi. Di carriera, certo, ma pur sempre capace di far sì che il suo dovere di militare non cancellasse il senso di responsabilità nei confronti della comunità che ha servito.
Abbiamo bisogno di questi esempi, per ricordare la vitalità democratica di Israele, per contrastare la narrazione che vorrebbe farne uno stato terrorista alla stregua di Hamas.
Mancano quattro giorni al Giorno della Memoria. In Italia, in queste ore, la presentazione del film sulla vita della senatrice Liliana Segre viene accolto da improperi e offese illeggibili sui profili di tanti cinema che ne hanno annunciato la programmazione. Si offende da destra e da sinistra una reduce di Auschwitz, una delle ultime voci di quell’orrore senza fine. Lo si fa senza cervello e un barlume di dignità umana.
Abbiamo smesso di sperare che si provi vergogna ma non smetteremo mai di rendere omaggio a chi ci permette di credere ancora.
di Fulvio Giuliani
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- Tag: esteri
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