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I Carabinieri in Kosovo, fra serbi e kosovari

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Il ponte che divide in due Mitrovica in Kosovo è presidiato da Carabinieri italiani

carabinieri Kosovo

I Carabinieri in Kosovo, fra serbi e kosovari

Il ponte che divide in due Mitrovica in Kosovo è presidiato da Carabinieri italiani

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I Carabinieri in Kosovo, fra serbi e kosovari

Il ponte che divide in due Mitrovica in Kosovo è presidiato da Carabinieri italiani

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Mitrovica Sud – La caratteristica principale che riassume la questione kosovara è l’identitarismo esasperato delle due parti in causa. Sia la minoranza serba che la maggioranza albanese portano ancora i segni della guerra del 1999. Gli edifici kosovari – palazzi istituzionali, ma anche i negozi e le tantissime case diroccate lungo i villaggi e le città più popolate – espongono con orgoglio le bandiere dell’Uçk (l’Esercito di liberazione del Kosovo, principale organizzazione paramilitare albanese ai tempi del conflitto e considerato un gruppo terroristico da molte nazioni occidentali). Al tempo stesso i serbo-kosovari, arroccati in piccole comunità, dimostrano la loro esistenza attraverso manifestazioni scioviniste capaci di mobilitare un numero non indifferente di partecipanti.

È a causa di questa condizione che eventi apparentemente ascrivibili a mere bagarre locali superano i confini nazionali. E, come abbiamo sottolineato più volte, si trasformano nell’ennesimo potenziale casus belli per lo scoppio di un conflitto tra Serbia e Kosovo. Ne è un esempio la questione del ponte che separa Mitrovica Sud da Mitrovica Nord. Quando lo scorso settembre il primo ministro uscente Albin Kurti ha proposto la riapertura totale del ponte (in modo da consentire il transito anche alle automobili) i serbi hanno manifestato contro l’ennesima azione unilaterale del governo. Denunciando aggressioni da parte dei kosovaro-albanesi e degli agenti di polizia. L’emergenza è rientrata grazie all’intervento diplomatico della comunità internazionale (l’Unione Europea e l’Alleanza Atlantica hanno impedito a Kurti di adottare il provvedimento in assenza di un accordo con Belgrado). Ed è per questo che sul ponte si trova un presidio del contingente italiano.

Il passaggio è sorvegliato «ventiquattro ore su ventiquattro» ci spiega uno dei carabinieri italiani inquadrati all’interno della Multinational Specialized Unit (Msu). Unità dell’Arma con funzioni di peacekeeping. «Il nostro obiettivo» continua il soldato «è quello di garantire un ambiente stabile e sicuro per tutta la popolazione e le varie comunità presenti in Kosovo, indipendentemente dalla loro etnia». Il carabiniere a guardia del ponte ribadisce come questo incarico permetta alla sua unità di «stare a stretto contatto con la popolazione. Capire i suoi bisogni e le sue necessità al fine di effettuare la mansione nel modo più imparziale possibile».

Il tema dell’imparzialità è costantemente ribadito dai militari italiani presenti nel Paese perché riflette la posizione della Nato (e dell’Unione Europea) sulla questione. La coalizione occidentale non ha inviato i suoi soldati per fiancheggiare una delle due comunità – sia Pristina che Belgrado sono costantemente richiamate dalle autorità europee per il mancato rispetto degli accordi di pace – ma per avere degli arbitri terzi. In un’area dove le ritorsioni, in assenza di controllo, sarebbero all’ordine del giorno.

Questa condizione spiega l’inaffidabilità della polizia kosovara. La decisione del primo ministro di licenziare in tronco gli agenti serbi ha consegnato il potere poliziesco alla maggioranza albanese. Che, proprio nella zona di Mitrovica, si è resa responsabile di numerosi episodi di brutalità e abusi mirati contro i serbi. Questi ultimi, a loro volta, hanno iniziato a guardare a una serie di politici locali legati a Belgrado che, con la loro retorica nazionalista e anti albanese, fungono da agenti sul territorio per conto del regime di Aleksandar Vučić. Il presidente serbo continua infatti a minacciare l’invasione del Kosovo per tentare di recuperare il consenso perduto in patria dopo le recenti manifestazioni studentesche. Il quadro della regione è insomma molto più complesso di quanto possa apparire.

di Antonio Pellegrino 

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