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I democratici alla prova della cancel culture

Negli States, i democratici vengono messi a dura prova dalla cancel culture, spaccandosi in due: un’ala centrista di Biden e Clinton e una gioventù barricadera di Alexandra Ocasio-Cortex &co.
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I democratici alla prova della cancel culture

Negli States, i democratici vengono messi a dura prova dalla cancel culture, spaccandosi in due: un’ala centrista di Biden e Clinton e una gioventù barricadera di Alexandra Ocasio-Cortex &co.
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I democratici alla prova della cancel culture

Negli States, i democratici vengono messi a dura prova dalla cancel culture, spaccandosi in due: un’ala centrista di Biden e Clinton e una gioventù barricadera di Alexandra Ocasio-Cortex &co.
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Negli States, i democratici vengono messi a dura prova dalla cancel culture, spaccandosi in due: un’ala centrista di Biden e Clinton e una gioventù barricadera di Alexandra Ocasio-Cortex &co.
C’è una parte di Stati Uniti in piena crisi identitaria. Come il monito di un venerando saggio, da giorni rimbombano le parole di Barack Obama: «Talvolta i democratici sono dei guastafeste» ha dichiarato l’ex presidente al podcast “Pod Save America”. «Talvolta le persone non vogliono sentirsi sulla graticola: tutti, in ogni momento, possono dire le cose in modo sbagliato e commettere degli errori. Rischiamo di finire nei pasticci se proviamo a suggerire che alcuni gruppi sociali godono di uno status differente perché in passato sono stati vittimizzati di più». Non è da ieri che Obama prende le distanze dal pensiero woke e dalla cancel culture, nuovi mantra del bacino elettorale del suo partito. Ma l’autocritica è profonda: «Ogni volta che mi sono impelagato in questi temi, lo spessore del mio discorso politico è diventato una supercazzola». E arriva in un momento clou: a ridosso delle prossime elezioni di midterm. Anche su questo, i democratici sono spaccati in due. Da una parte l’ala centrista, un po’ più coscienziosa e ammuffita, dei Biden e dei Clinton. Dall’altra la gioventù barricadera di Alexandra Ocasio-Cortez e compagni, forte tra le nuove generazioni, secondo cui «non si viene cancellati, ma al più ignorati o non apprezzati». Che Obama, con fare paterno, abbia legittimato le posizioni dei primi è un endorsement velato ma di un certo peso. Proviene da colui che è tuttora – il tempo fermo al 2008 – l’ultima novità di comprovato successo in casa dem. E pure da un rappresentante di una minoranza etnica. Inoltre, rischia di mandare in testacoda la retorica progressista trovando degli alleati proprio in quota sinistra: «La cancel culture ormai è un fenomeno fuori controllo» ha ammesso anche Bernie Sanders, cane sciolto al di sopra di ogni sospetto. Non è un’esagerazione. Secondo un sondaggio del Center for Excellence in Polling, già nel 2021 il 77% degli americani si diceva preoccupato dalle implicazioni della cancel culture e il 51% riteneva responsabili i democratici, contro il 32% dei repubblicani. Il messaggio di Obama suggerisce un cambio di approccio esattamente in quest’ottica. Intanto qualcosa sembra muoversi: sulle colonne del “New Yorker” si legge che «in giro per il Paese, i candidati dem si avvicinano al voto di metà mandato sminuendo l’ideologia in favore di questioni terra terra». Più del risultato immediato – la vittoria del Gop al Congresso è quasi annunciata – conta il futuro. Con lo spettro di Trump tutt’altro che dissolto. Entro il 2024 i democratici dovranno aver chiarito chi vogliono essere. C’è in ballo l’America, tutta intera.   Francesco Gottardi  

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