Tra le libertà degli anni Ottanta, considerato un decennio edonista e ruggente per definizione e che prima o poi andrà invece raccontato in profondità, vi è quella del rischio di intraprendere senza tenere famiglia alle spalle. Non il “tengo famiglia” da ceto medio, quello utile a sbarcare il lunario, ma il “tengo famiglia” dei ricchi che spesso in Occidente, di certo in Europa, ha visto combaciare la storia del capitalismo con il capitalismo familiare.
La fine dell’avventura di impresa come una questione di famiglia ha aperto il campo e il mercato, in quel decennio, a uomini di talento e di idee, capaci di rischiare.
Se in Italia abbiamo avuto Silvio Berlusconi quale simbolo di questa libertà arrembante (rispetto allo status quo), in Francia hanno avuto Bernard Tapie. Ora, con la sua morte, è tutto un fiorir d’articoli tra il pittoresco e il corsaro.
L’elenco, quando uno ha avuto una vita emozionante come Tapie, è facile. Imprenditore, proprietario di Adidas, della squadra di calcio dell’Olympique Marsiglia che ha portato a vincere la Coppa dei Campioni, deputato francese ed europeo per i socialisti, fondatore dell’équipe di ciclismo che ha vinto il Tour de France con Bernard Hinault, pilota, cantante, attore e pure ministro.
A noi, più della sua esistenza instancabile, interessa però il dato dell’impresa che ha compiuto e che incarna lo spirito che fu degli anni Ottanta. Figlio di un operaio e di una badante, Tapie è diventato un capitalista senza “tengo famiglia”.
Chapeau, Bernard!
di Aldo Smilzo
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