Il socialismo pragmatico di Boric
Il giovanissimo neo eletto presidente del Cile Gabriel Boric ha presentato il suo programma che sembra mettere d’accordo proprio tutti. Anche i suoi oppositori. E non resta che sperare.
| Esteri
Il socialismo pragmatico di Boric
Il giovanissimo neo eletto presidente del Cile Gabriel Boric ha presentato il suo programma che sembra mettere d’accordo proprio tutti. Anche i suoi oppositori. E non resta che sperare.
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Il socialismo pragmatico di Boric
Il giovanissimo neo eletto presidente del Cile Gabriel Boric ha presentato il suo programma che sembra mettere d’accordo proprio tutti. Anche i suoi oppositori. E non resta che sperare.
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Il giovanissimo neo eletto presidente del Cile Gabriel Boric ha presentato il suo programma che sembra mettere d’accordo proprio tutti. Anche i suoi oppositori. E non resta che sperare.
Il giovanissimo presidente cileno, eletto a 35 anni con una vittoria chiara lo scorso dicembre, ha presentato il suo programma e, a sorpresa, ha proposto delle riforme costituzionali che ottengono anche l’appoggio della destra conservatrice del suo avversario al ballottaggio, José Antonio Kast.
Sembrano lontani i tempi in cui Salvador Allende, per arrivare alla presidenza, aveva solo un terzo dei voti e un accordo con i democristiani, immediatamente saltato il giorno in cui ha deciso la nazionalizzazione delle miniere di rame così dichiarando guerra agli Stati Uniti. I tempi sono radicalmente cambiati ma resta comunque il ricordo del sanguinoso colpo di Stato militare che l’11 settembre 1973 costrinse Allende al suicidio.
Nel programma di Boric esistono punti chiave in comune con il presidente di allora: combattere la miseria e il narcotraffico, rifondare il sistema scolastico e quello sanitario (rendendolo pubblico e accessibile a tutti), istituire un sistema pensionistico generalizzato e introdurre un salario minimo.
La base del ragionamento di Boric è però lontanissima dalle politiche keynesiane che, nel 1970, Allende contrappose a quelle dei Chicago Boys. Innanzi tutto, nessuna nazionalizzazione ma, al contrario, agevolazioni fiscali a chi investe nell’industria e nell’agroalimentare cileno – fino quasi all’esenzione per le aziende che permettano, in meno di un decennio, di chiudere le miniere di carbone e dimezzare l’acquisto di prodotti petroliferi stranieri. Boric scommette non sull’aumento delle tasse ma sulla spinta propulsiva dell’aumento del plusvalore, generata da un aumento della domanda interna – che è poca cosa, perché la maggior parte dei cileni sono in miseria e il record di crescita del Pil (da 69 a 209 miliardi di dollari in meno di vent’anni) è stato realizzato con l’export, rendendo più ricchi coloro che lo erano già fin dai tempi di Pinochet. Boric spinge inoltre per il microcredito, per la risoluzione dei problemi diplomatici sulla quota delle risorse minerarie dell’Antartico, per il completamento del Beagle Channel che (tagliando la Terra del Fuoco) accorcia di almeno un giorno la navigazione tra l’Europa e i porti cileni.
Come finanziare tutto questo? La bilancia commerciale cilena, largamente attiva fino all’inizio della pandemia, si sta ora velocemente riprendendo. Il debito pubblico è pari ad appena il 25,6% del Pil. Su questo si può lavorare, disincentivando gli investimenti immobiliari e finanziari stranieri e spendendo un po’ dei soldi messi da parte. Un investimento del 18% del Pil, come pensato da Boric, metterebbe a disposizione del governo quasi 38 miliardi di dollari senza alzare nemmeno di un centesimo le tasse. E siccome Boric intende spendere quei soldi per migliorare le condizioni economiche e sociali della popolazione – e quindi aumentare la domanda interna – nonché per finanziare opere infrastrutturali per cifre imponenti, gli industriali e i banchieri cileni lo adorano.
Tra i sogni del nuovo presidente ci sono una digitalizzazione dell’intero sistema cileno, la riorganizzazione delle cooperative agricole e ittiche in società di esportazione, un investimento importante sul turismo. Per questo l’estrema destra ha promesso di collaborare e già oggi – nella commissione costituzionale che vuole far sparire le ultime tagliole degli anni del regime di Pinochet – Kast vota a favore di leggi sulla difesa dei diritti umani, contro la carcerazione preventiva e per la proibizione all’esercito di uscire dalle caserme.
E per farsi obbedire dai generali il presidente ha chiesto aiuto a Biden, offrendo come contropartita la rinuncia ai trattati negoziati con la Cina e accettando una rivalutazione del pesos collegata all’andamento del dollaro.
Non resta che sperare.
di Paolo Fusi e Simone Coccia
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Tag: politica
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