Il crollo di Gazprom e il crepuscolo dell’impero
Il crollo di Gazprom e il crepuscolo dell’impero
Il crollo di Gazprom e il crepuscolo dell’impero
Strangolato dalla morsa delle sanzioni e azzoppato militarmente, l’Orso russo vacilla. Il titolo di Gazprom è crollato, tanto da portare Mosca a interromperne la negoziazione nell’ultima seduta di Borsa. Una caduta libera che ne ha diminuito il valore di quasi un terzo. Il fatto è che Gazprom non è soltanto la più grande azienda per capitalizzazione di mercato di tutta la Russia. Gazprom è la Russia. Lo Stato ne detiene infatti il 50%, suddiviso in una quota diretta del 38%, più un altro 12% di proprietà di due società statali. Il core business è legato all’estrazione e alla vendita di gas naturale – cioè del prodotto di punta dell’export russo – e Gazprombank è la banca non ancora disconnessa dal sistema Swift che ne riceve i pagamenti. Nel primo quadrimestre di quest’anno, dopo l’invasione dell’Ucraina, le vendite sono scese del 30%. Ciò che ha parzialmente tamponato il danno economico è stato l’aumento del prezzo del gas. Esattamente quello a cui Draghi vuole porre un tetto massimo.
Il nemico numero uno di Vladimir Putin, in grado di metterne in ginocchio la macchina bellica, è proprio il presidente del Consiglio italiano ed ex presidente della Bce: sa benissimo che il tallone d’Achille del colosso russo poggia sul cedevole terreno economico e il risultato della sola proposta di un price-cap ha seminato il terrore tra gli azionisti di Gazprom. Spesso s’è detto che l’invasione dell’Ucraina sia iniziata ancor prima del 2014, per procura di Gazprom: le cosiddette “guerre del gas”, mosse tra il 2005 e il 2006 e tra il 2008 e il 2009. Ha destato non poco clamore il gesto di Igor Volobuev, ex presidente del gigante energetico russo arruolatosi nell’esercito di Kyiv. Nel suo mea culpa, motivo dell’improvviso gesto catartico, c’è l’ammissione d’aver contribuito in quelle circostanze a screditare irrimediabilmente la qualità dei fornitori energetici ucraini agli occhi dei compratori europei. Ci riuscirono e il risultato fu quello che comportò anche il raddoppio della dipendenza energetica italiana dal mercato russo: dal 20% a quasi il 40%.
Silvio Berlusconi non fu l’unico amico del cuore di Putin: anche Angela Merkel spinse per la realizzazione del gasdotto Nord Stream 2, proprio nell’anno in cui si oppose all’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Ad avvalorare la tesi c’è poi il giallo dei suicidi dei supermanager, trovati morti spesso insieme ai familiari in circostanze sospette, che ha coinvolto in questi mesi tutte le personalità di spicco del colosso russo: Vladislav Avaev, vicepresidente di Gazprombank; Leonild Shulman capo dei servizi di trasporto di Gazprom Invest; Aleksandr Tjuliakov, ex vicedirettore di Gazprom; Sergeij Protosenya, uomo di punta di Novatek (secondo produttore dopo Gazprom) e l’uomo d’affari Vasily Melnikov.
In tre mesi Mario Draghi è riuscito a dimezzare la dipendenza energetica italiana dal mercato russo e a rivolgere contro Putin la sua arma più potente, il gas, senza esporci a danni collaterali. L’Unione europea deve adottare alla svelta la proposta italiana del price-cap finché i gasdotti verso i nuovi clienti di Mosca non saranno pronti. Il nostro presidente del Consiglio ha in mano la valigetta con i codici del nucleare economico in grado di far crollare i sogni imperiali dello zar.
di Giorgio Provinciali
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