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Il disagio e la vergogna di chi non accetta le sparate di Trump

Qualcosa si sta finalmente iniziando a muovere, dopo la sorprendente inerzia e il silenzio che sembravano dominare il mondo della politica nazionale americana durante le prime settimane di mattane di Trump

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Il disagio e la vergogna di chi non accetta le sparate di Trump

Qualcosa si sta finalmente iniziando a muovere, dopo la sorprendente inerzia e il silenzio che sembravano dominare il mondo della politica nazionale americana durante le prime settimane di mattane di Trump

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Il disagio e la vergogna di chi non accetta le sparate di Trump

Qualcosa si sta finalmente iniziando a muovere, dopo la sorprendente inerzia e il silenzio che sembravano dominare il mondo della politica nazionale americana durante le prime settimane di mattane di Trump

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Qualcosa si sta finalmente iniziando a muovere, dopo la sorprendente inerzia e il silenzio che sembravano dominare il mondo della politica nazionale americana durante le prime settimane di mattane di Trump

Mike Pence, vice presidente degli Stati Uniti durante il primo mandato di Donald Trump, risponde così alla sfuriata del tycoon contro Zelensky: «L’Ucraina non ha iniziato questa guerra. La Russia ha lanciato un’invasione brutale e immotivata, mietendo centinaia di migliaia di vittime. La via della pace deve essere edificata sulla verità».

Vero che ciò conferma quell’allontanamento tra i due. Che si rese manifesto quando lo stesso Pence accettò di certificare i risultati che attestavano la vittoria di Biden. Venendo per questo anche duramente contestato dagli scalmanati che il 6 gennaio 2021 provarono a dare l’assalto a Capitol Hill. Ma conferma anche come qualcosa si sia finalmente iniziato a muovere, dopo la sorprendente inerzia e il silenzio che sembravano dominare il mondo della politica nazionale americana durante le prime settimane di mattane di Trump. Le resistenze erano venute piuttosto dagli Stati che hanno fatto valanghe di ricorsi contro gli ordini esecutivi del presidente. E dai giudici che hanno cominciato a bloccarli.

Ma, appunto, dopo che Trump è sbottato contro Zelensky un bel po’ di gente sembra essersi finalmente svegliata. E in modo bipartisan. «È disgustoso vedere un presidente americano voltare le spalle a uno dei nostri amici. E schierarsi apertamente con qualcuno come Vladimir Putin» ha tuonato ad esempio il leader democratico del Senato Chuck Schumer. «Putin è un dittatore spregevole. Non è nostro amico o alleato», ha protestato il deputato repubblicano Mike Lawler. Che si dice contrario a elezioni durante la guerra perché ritiene che la Russia interferirà e vorrà insediare un presidente fantoccio.

«Dai tempi della Cecoslovacchia, nessun altro Paese democratico ha subìto un simile tradimento da una potenza occidentale», ha detto il senatore democratico Adam Schiff evocando lo spettro di Monaco 1938. Addirittura Roger Wicker, presidente repubblicano della Commissione Difesa del Senato, evoca Norimberga. «Putin è un criminale di guerra da buttare in carcere per il resto della sua vita, se non da giustiziare».

«Come americano mi sento in imbarazzo» ha confessato Michael McFaul, che per gli Stati Uniti fu ambasciatore a Mosca dal 2012 al 2014. E che aveva definito «una Yalta con Hitler al tavolo» l’incontro di Riad. «Non è nell’interesse degli Stati Uniti avere un presidente che parla in questo modo». Omonimo del democratico JFK ma senatore repubblicano, John Neely Kennedy ha spiegato di non essere d’accordo con le accuse di Trump a Zelensky. «Penso che Vladimir Putin abbia iniziato la guerra. Credo anche, per amara esperienza, che Putin sia un gangster. È un gangster dal cuore nero che ha il gusto per il sangue del dittatore sovietico Josef Stalin».

Whip democratico al Senato, Dick Durbin ha parlato di insulto alle migliaia di ucraini che sono morti in guerra. E ha accusato il presidente di ripetere a pappagallo i concetti dello zar. «Chiederei al presidente Trump di scusarsi con il popolo ucraino, ma sarebbe uno spreco di fiato. Donald Trump ha un debole per Putin». E quanto al capogruppo della maggioranza repubblicana John Thune, per conciliare il suo essersi speso a favore dell’Ucraina col suo ruolo nel partito del presidente, ha provato a scantonare: «Il presidente parla per sé. Quello che voglio vedere è un risultato pacifico, un esito pacifico».

Di Maurizio Stefanini

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