L’ipotesi della fuga di Putin
Dopo oltre 300 giorni e 5mila missili russi, l’Ucraina non cade. Anzi: c’è chi avanza l’ipotesi di una fuga dello zar Putin e dei suoi stretti collaboratori in America Latina.
L’ipotesi della fuga di Putin
Dopo oltre 300 giorni e 5mila missili russi, l’Ucraina non cade. Anzi: c’è chi avanza l’ipotesi di una fuga dello zar Putin e dei suoi stretti collaboratori in America Latina.
L’ipotesi della fuga di Putin
Dopo oltre 300 giorni e 5mila missili russi, l’Ucraina non cade. Anzi: c’è chi avanza l’ipotesi di una fuga dello zar Putin e dei suoi stretti collaboratori in America Latina.
Dopo oltre 300 giorni e 5mila missili russi, l’Ucraina non cade. Anzi: c’è chi avanza l’ipotesi di una fuga dello zar Putin e dei suoi stretti collaboratori in America Latina.
300 giorni e 100mila morti russi. 5mila missili e l’Ucraina non cade. Anzi, a temere concretamente la disfatta totale è proprio l’aggressore russo. Abbas Gallyamov, ex autore dei discorsi pubblici di Putin, annuncia sul proprio canale Telegram che «il Cremlino si sta organizzando per evacuare Putin e i suoi più stretti collaboratori in America Latina, in caso di sconfitta nella guerra contro l’Ucraina». La preparazione del piano di fuga sarebbe iniziata già in primavera e l’intera operazione sarebbe stata ufficiosamente chiamata “Arca di Noè”. «Come suggerisce il nome, è la ricerca di un nuovo Paese in cui fuggire nel caso in cui la situazione in patria diventi scomoda per Putin. I suoi soci non hanno escluso la possibilità che perda la guerra, venga rimosso dal potere e poi urgentemente evacuato» riferisce Gallyamov.
Che le cose non sarebbero andate secondo i piani era chiaro sin dalle prime ore della scellerata “Svo” (Operazione militare speciale). Il ministro della Difesa Shoigu e il capo di Stato maggiore delle Forze armate Gerasimov pensavano che le truppe di terra avrebbero trovato una sorta di autostrada libera verso Kyiv, tanto che l’ordine impartito ai reparti mobili era di farsi trovare entro 13 ore dall’inizio dell’invasione alle coordinate prestabilite, nei pressi della capitale ucraina. Putin aveva personalmente incaricato Kadyrov dell’eliminazione fisica di Zelensky e dell’intera classe dirigente ucraina. Yanukovych (ex presidente dimissionario ucraino, caro al Cremlino ma fuggito in Russia nel 2014 a seguito della Rivoluzione della Dignità) era già stato portato in Bielorussia, pronto al rimpiazzo. Avvertito dall’intelligence americana del piano criminale russo, Zelensky rifiutava la fuga pur sapendo che gli sarebbero forse rimaste poche ore. «Non ho bisogno di un passaggio, ma di munizioni». Con queste parole il presidente ucraino cambiava il corso di una storia troppo frettolosamente scritta nelle stanze del potere del Cremlino.
All’alba del trecentesimo giorno della “guerra dei tre giorni” è invece l’élite dello Stato terrorista e invasore che pensa alla fuga. A quanto pare, Putin e criminali al seguito sono già pronti a salpare sull’Arca di Noè verso lidi argentini, ecuadoriani e venezuelani. Secondo Gallyamov, Igor Sechin si sarebbe dimesso dalla guida del colosso petrolifero Rosneft per supervisionare e preparare il piano d’evacuazione degli alti ranghi russi già dalla primavera; come lui molti altri importanti funzionari vicini a Putin avrebbero iniziato ad acquistare immobili per ottenere il permesso di soggiorno e una sistemazione in Sudamerica. «L’isola Margarita, in Venezuela, è la loro Courchevel locale» incalza Gallyamov, paragonando la stazione sciistica francese all’hideout perfetto per criminali in cerca di un riparo sicuro dall’estradizione. «Anche la Cina venne presa in considerazione» conclude l’ex autore dei discorsi di Putin «ma a quanto pare ai cinesi non piacciono i perdenti».
di Giorgio Provinciali
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