Per mano
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Per mano
Bambini senza più un nome, che rischiano di diventare facili obbiettivi per i trafficanti di esseri umani. E altri che muoiono di fame, in città ridotte a macerie. Dall’inizio del conflitto in Ucraina sono tra i 150 e i 190 i bimbi morti, secondo i numeri ufficiali che sono di certo più bassi di quelli reali, visto che in molte zone ancora si fa fatica a capire quante vittime ci siano. Sta di fatto che l’emergenza che riguarda i più piccoli ha una duplice sfaccettatura: chi è rimasto in città come Mariupol rischia di morire di fame e di sete. È atroce anche solo da raccontare eppure queste sono le testimonianze che arrivano dal terreno. I corridoi umanitari non funzionano perché i russi non informano la popolazione chiusa nei bunker. E con le infrastrutture distrutte, scarseggia l’acqua: si usa la neve per cercare di idratarsi. Mancano anche i viveri, chi è più fragile non ce la fa.
Purtroppo, i bambini non sono al sicuro neppure fuori dai confini ucraini. Come denunciato dal Ministero degli Affari esteri di Kiev ma anche da diverse organizzazioni umanitarie, i militari di Putin continuano infatti a trasferire profughi in Russia e i minori non accompagnati rischiano di venir adottati proprio da famiglie russe senza che però vi sia alcuna verifica né alcuna prassi per controllare a chi vengano affidati. Il Cremlino ipotizza addirittura di stipulare accordi con i territori occupati per trasferire gli orfani: nulla che sia sottoposto al vaglio di istituzioni e organizzazioni internazionali. Per questo è necessario che si faccia di tutto per cercare di censire i bimbi in fuga dalla guerra.
LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI ”IL DOLORE DELLA GUERRA”Non è semplice, dati i numeri, ma è necessario che le istituzioni collaborino con Kiev per scongiurare un problema di dimensioni enormi. Si registrano ad esempio casi di bimbi arrivati in altri Paesi – quindi considerati “al sicuro” – e poi spariti, probabilmente perché appunto finiti in mano a trafficanti di esseri umani. L’emergenza riguarda in primo luogo gli orfani, ma in realtà tocca anche tutti gli altri. Non a caso abbiamo visto genitori scrivere i nomi dei figli e i numeri di telefono da chiamare. Come la piccola Vira, in una foto diventata simbolo: sulla schiena il suo nome e la data di nascita per consentire di identificarla anche se i genitori fossero morti. La sua, grazie anche all’eco mediatica, è una storia a lieto fine perché la bambina e sua madre sono ora in salvo in Francia. Questo dovrebbe far comprendere come identificare i minori e creare una banca dati condivisa non sia un problema secondario. Anche perché è inutile altrimenti continuare a lanciare allarmi, come si fa dall’inizio di questo conflitto. È stato chiaro fin da subito che la quantità di profughi in fuga sarebbe diventata un’occasione per gruppi criminali. Tenuto anche conto che in questo caso i minori sono una percentuale molto rilevante: quasi cinque milioni quelli sfollati in meno di due mesi.
Esiste poi un ulteriore problema, che riguarda proprio l’Italia e i bimbi che vivevano in orfanotrofi o in case famiglia: nonostante la convenzione dell’Aja del 1996, di fatto i tribunali non stanno riconoscendo coloro che in Ucraina erano stati identificati come tutori per questi bimbi e così quando arrivano da noi vengono considerati minori non accompagnati per i quali devono essere nominati nuovi tutori. Con tutte le difficoltà che ne conseguono. È necessario attuare procedure di controllo che funzionino, lo è anche evitare che il sistema di accoglienza si trasformi in un caos. Lo dobbiamo a bambini che hanno perso tutto quello che avevano.
di Annalisa GrandiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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