Il Giappone, i giovani e le (meno) ore di lavoro
Fino a poco tempo fa in Giappone era facile imbattersi in persone che dormivano in ufficio, sulla metropolitana o sulle panchine dei parchi pubblici, sfinite, esauste, stremate da ore e ore di lavoro ininterrotto. Nell’etica giapponese qualcosa è però cambiato
Il Giappone, i giovani e le (meno) ore di lavoro
Fino a poco tempo fa in Giappone era facile imbattersi in persone che dormivano in ufficio, sulla metropolitana o sulle panchine dei parchi pubblici, sfinite, esauste, stremate da ore e ore di lavoro ininterrotto. Nell’etica giapponese qualcosa è però cambiato
Il Giappone, i giovani e le (meno) ore di lavoro
Fino a poco tempo fa in Giappone era facile imbattersi in persone che dormivano in ufficio, sulla metropolitana o sulle panchine dei parchi pubblici, sfinite, esauste, stremate da ore e ore di lavoro ininterrotto. Nell’etica giapponese qualcosa è però cambiato
Fino a poco tempo fa in Giappone era facile imbattersi in persone che dormivano in ufficio, sulla metropolitana o sulle panchine dei parchi pubblici, sfinite, esauste, stremate da ore e ore di lavoro ininterrotto. Nell’etica giapponese qualcosa è però cambiato
Fino a poco tempo fa in Giappone era facile imbattersi in persone che dormivano in ufficio, sulla metropolitana o sulle panchine dei parchi pubblici, sfinite, esauste, stremate da ore e ore di lavoro ininterrotto. Nell’etica giapponese qualcosa è però cambiato: le nuove generazioni, a differenza delle precedenti (che con turni massacranti hanno contribuito al boom economico nel secondo dopoguerra) hanno drasticamente ridotto l’orario lavorativo. E le cosiddette “morti per superlavoro”, dovute a patologie derivanti da un eccessivo stress e dal poco riposo, sono notevolmente diminuite.
L’ex premier giapponese Shigeru Yoshida (in carica dal 1946 al 1947 e dal 1948 al 1954) pose al primo posto la ripresa economica del Paese e chiese ai lavoratori di promettere fedeltà ai propri datori di lavoro in cambio di un’occupazione a tempo indeterminato, benefit aziendali e salari consistenti. Un periodo di rapida crescita che creò una forza lavoro stabile in Giappone e una cultura aziendale estremamente esigente che portò i giapponesi a non prendere ferie e a non darsi malati, accrescendo l’abnegazione, il rispetto dell’autorità e la proiezione di sé nella società: valori fondamentali nella condotta morale giapponese.
A partire dagli anni Novanta la pressione sociale e lavorativa alla quale erano sottoposti gli occupati in Giappone emerse in maniera drammatica. Così nacque anche la pratica di dormire ovunque e a qualsiasi ora per sfruttare ogni momento possibile per riposarsi. I giovani giapponesi hanno però invertito la tendenza: secondo il Recruit Works Institute con sede a Tokyo, nel Paese asiatico le ore lavorative annuali sono diminuite dell’11%, da 1.839 nel 2000 a 1.626 nel 2023. Il calo più significativo si è registrato fra i ventenni, che sono passati da una media di 46 ore di lavoro a settimana nel 2000 alle 38 ore nel 2023, in linea con diverse nazioni europee.
«I giovani hanno deciso di non volersi sacrificare per un’azienda e penso che sia una scelta molto saggia» ha spiegato Makoto Watanabe, docente di Comunicazione e media all’Università di Hokkaido Bunkyo. «A differenza dei loro genitori, che accettavano lunghe ore di lavoro in cambio di crescita economica e posto fisso, i figli danno priorità all’equilibrio tra impiego e vita privata e si rifiutano di accettare condizioni di lavoro precarie e incerte. Negli anni Settanta e Ottanta più i giapponesi lavoravano e più guadagnavano, ma il pensiero dei ragazzi di oggi è che se lavorano duramente vengono solo sfruttati» ha sottolineato Watanabe. «I giovani trovano difficile avere un sogno sul loro futuro, quindi vogliono stabilità nella vita quotidiana. Vogliono soltanto guadagnare abbastanza soldi per sopravvivere e stare comodi, senza particolari ambizioni».
Il cambiamento generazionale non è privo di tensioni sociali: i dipendenti più anziani, che hanno costruito le loro carriere su lunghi turni di lavoro, spesso si sentono in contrasto con la nuova ondata di lavoratori che danno priorità alla stabilità rispetto all’ambizione. Il mutamento culturale in atto ha però già prodotto risvolti positivi: in Giappone nel 2022 le morti correlate al superlavoro erano state 2.968, mentre le stime ufficiali del 2023 (le ultime a disposizione) parlano di ‘appena’ 54 decessi.
di Filippo Merli
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