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esercito russo

Il reclutamento dei più deboli

Mentre il timore per la leva generale ha fatto fuggire oltre confine migliaia di russi, Putin sta dando vita ad un vero e proprio esercito coloniale. Discorso diverso per l’Ucraina, aiutata da inizio conflitto dalla Legione internazionale.

Il reclutamento dei più deboli

Mentre il timore per la leva generale ha fatto fuggire oltre confine migliaia di russi, Putin sta dando vita ad un vero e proprio esercito coloniale. Discorso diverso per l’Ucraina, aiutata da inizio conflitto dalla Legione internazionale.

Il reclutamento dei più deboli

Mentre il timore per la leva generale ha fatto fuggire oltre confine migliaia di russi, Putin sta dando vita ad un vero e proprio esercito coloniale. Discorso diverso per l’Ucraina, aiutata da inizio conflitto dalla Legione internazionale.
Mentre il timore per la leva generale ha fatto fuggire oltre confine migliaia di russi, Putin sta dando vita ad un vero e proprio esercito coloniale. Discorso diverso per l’Ucraina, aiutata da inizio conflitto dalla Legione internazionale.
Manca tutto all’“operazione militare speciale” di Putin: cibo, soldi, indumenti pesanti, logistica, piani strategici, morale, missili e soldati. Soprattutto mancano amici e alleati. Non è un mistero infatti che persino Lukashenka, il nuovo cameriere di Mosca, faccia melina ormai da un mese dimostrandosi restio a coinvolgere le truppe bielorusse nella carneficina ucraina. Si tratterebbe comunque di poche migliaia di soldati peggio equipaggiati, addestrati e motivati di quelli già impegnati nel conflitto e che rappresenterebbero quindi soltanto un diversivo in attesa dell’arrivo di truppe fresche. Quanto a queste, il timore della leva generale ha già fatto fuggire oltreconfine decine di migliaia di russi. Gli sforzi del reclutamento si stanno quindi concentrando sui gruppi etnici minoritari della Federazione Russa: i daghestani nel Caucaso, i ciuvasci e i tatari nella Russia europea, i mordvini negli Urali, le popolazioni mongoliche nell’estremo Est. Si rincorrono persino voci riguardo tentativi di irreggimentazione forzosa e illegale degli immigrati centro-asiatici, ai quali viene proposto di aderire all’esercito delle fantomatiche repubbliche del Donbass in cambio di un passaporto russo: una contorsione del diritto internazionale con pochi precedenti nella storia. Quello di Putin si profila insomma come un vero e proprio esercito coloniale che per muovere i suoi ingranaggi sfrutta il saldo demografico positivo delle popolazioni assoggettate, perdendo in media otto membri delle minoranze etniche per ogni moscovita caduto. Non pervenuti, invece, i mercenari siriani e africani annunciati qualche settimana fa e da bollare pertanto come l’ennesima sparata della propaganda russa. LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI “CRONACHE DI GUERRA” L’unico vero impegno di solidarietà bellica transnazionale si manifesta invece a favore degli aggrediti e, oltre che dal costante invio di nuove armi occidentali all’esercito di Kyiv, è costituito dalla Legione internazionale inaugurata da Zelensky nei primi giorni di guerra. Veterani americani e inglesi erano già presenti nel Paese dei Girasoli fin dal surge delle truppe di Mosca al confine Est e hanno rappresentato l’esempio per quei 20mila foreign fighter giunti da ben 50 Paesi dopo lo scoppio delle ostilità. Oltre a numerosi veterani anglosassoni, ben 500 canadesi hanno risposto all’appello, così numerosi da costituire un battaglione autonomo che attualmente protegge la capitale insieme a un gruppo gemello francofono denominato “Normanno”. Numerosissimi cittadini delle ex repubbliche sovietiche (dal Baltico al Mar Nero) hanno poi deciso di accorrere in difesa dell’Ucraina nella consapevolezza che il prossimo fronte potrebbe essere quello dei loro Paesi. I gruppi che più colpiscono per la loro motivazione sono comunque la Legione nazionale georgiana (impegnata nel Donbass dal 2014 e comandata dall’ufficiale Mamuka Mamulashvili), il gruppo tattico “Belarus” (che raccoglie un nutrito gruppo di dissidenti del regime di Lukashenka) e i battaglioni ceceni “Dzhokhar Dudayev” (dal nome del primo presidente della Cecenia indipendente) e “Sheikh Mansur” (dedicato a un leader storico della loro resistenza).   di Camillo Bosco

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