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Regno Unito Brexit

Il Regno Unito più asiatico dopo la Brexit

Il Regno Unito post Brexit è diventato sempre più asiatico, con migliaia di lavoratori provenienti dall’Asia e oggi anche al governo
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Il Regno Unito più asiatico dopo la Brexit

Il Regno Unito post Brexit è diventato sempre più asiatico, con migliaia di lavoratori provenienti dall’Asia e oggi anche al governo
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Il Regno Unito post Brexit è diventato sempre più asiatico, con migliaia di lavoratori provenienti dall’Asia e oggi anche al governo
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Il Regno Unito post Brexit è diventato sempre più asiatico, con migliaia di lavoratori provenienti dall’Asia e oggi anche al governo
Per non essere assorbito dall’Europa, il Regno Unito post Brexit sta diventando sempre più asiatico. Il dato è simbolicamente evidente già ai vertici del Paese: l’oriundo indiano induista Rishi Sunak primo ministro e l’oriunda indiana buddhista Suella Braverman ministro dell’Interno, entrambi conservatori; l’oriundo pakistano musulmano Sadiq Khan sindaco di Londra, laburista; l’oriundo pakistano musulmano Humza Yousaf first minister della Scozia, nazionalista scozzese. Tutti costoro provengono evidentemente da famiglie che si erano già integrate ben prima del referendum sull’uscita dall’Unione europea. Ma in questi mesi la tendenza si è resa ancora più evidente nelle campagne, dove per i lavori stagionali – affidati in anni recenti soprattutto a rumeni o polacchi – si registra ormai una netta predominanza di braccianti provenienti dall’Asia Centrale: Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan… Questi lavoratori hanno un visto di massimo sei mesi; il caldo di primavera ed estate permette loro di trascorrerli comodamente in grandi roulotte; ricevono un salario minimo orario di 10,42 sterline (ovvero 12,10 euro) che grazie a un bonus aggiuntivo (che può superare un ulteriore 50% per i più produttivi, a seconda della quantità di frutta raccolta) costituisce un bel gruzzolo nei loro Paesi di provenienza. Incassano comunque una cifra quasi tripla di quella che prenderebbero in Russia: in passato era la loro destinazione di migrazione stagionale preferita, ma adesso rischierebbero anche di venire arruolati. Senza rinunciare a qualche lamentela, questi stagionali con esperienza del regime putiniano sostengono nelle interviste di apprezzare uno Stato di diritto in cui c’è la garanzia che il datore di lavoro paghi gli stipendi. È stato lo stesso governo britannico ad avviare fin dal 2019 quel Seasonal Workers Scheme che permette loro di arrivare nell’isola per fare fronte alla grave carenza di lavoratori agricoli dovuta alla Brexit. Su pressione degli agricoltori, secondo cui frutta e verdura marcirebbero nei campi senza forza lavoro straniera, i visti concessi possono arrivare a quota 40mila. Agricoltura a parte, nonostante le promesse dei sostenitori della Brexit il numero degli immigrati è aumentato all’indomani dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Secondo uno studio pubblicato su “The Guardian”, nel 2022 i lavoratori extra-Ue hanno superato per la prima volta gli europei, con una media di 2,7 milioni contro i 2,5 milioni dell’anno precedente. La ricerca mostra anche come vari settori che un tempo facevano affidamento sui lavoratori dell’Ue – servizi di alloggio e ristorazione, amministrazione, vendita all’ingrosso, vendita al dettaglio e riparazione di veicoli – si sono spostati verso dipendenti extra-Ue e britannici. Altri comparti come l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca dipendono ancora dai lavoratori provenienti dall’Unione europea ma hanno nondimeno registrato cambiamenti. La scorsa estate in questi settori soltanto una persona su sette era cittadina dell’Ue: un calo significativo rispetto al 23% precedente la pandemia. La percentuale di lavoratori extracomunitari è salita al 6%, rispetto al 2% nel 2019 e all’1% prima del referendum sulla Brexit. di Maurizio Stefanini

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