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Il Sì di Hamas al piano di Trump oggi è il massimo della speranza

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Quello di Hamas è un sì molto importante, fondamentale, perché apre uno spiraglio reale, concreto, credibile per un cessate il fuoco che due settimane fa appariva una chimera

Il Sì di Hamas al piano di Trump oggi è il massimo della speranza

Quello di Hamas è un sì molto importante, fondamentale, perché apre uno spiraglio reale, concreto, credibile per un cessate il fuoco che due settimane fa appariva una chimera

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Il Sì di Hamas al piano di Trump oggi è il massimo della speranza

Quello di Hamas è un sì molto importante, fondamentale, perché apre uno spiraglio reale, concreto, credibile per un cessate il fuoco che due settimane fa appariva una chimera

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Il Sì di Hamas era tutto tranne che scontato e infatti l’ala più radicale ha opposto resistenza fino all’ultimo. Prima di arrendersi ieri sera, accettando il piano del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Come fra gli estremisti di Israele (purtroppo oggi al governo a Gerusalemme), che di sicuro si faranno sentire nelle prossime ore.

È un sì molto importante, fondamentale, perché apre uno spiraglio reale, concreto, credibile per un cessate il fuoco che due settimane fa appariva una chimera.

Questo è un fatto e dai fatti dobbiamo partire. Il piano del capo della Casa Bianca non sarà certo perfetto, è tutto tranne che ideale, lascia sul terreno un numero impressionante di punti sospesi, appena accennati e controversi, ma se ha prodotto questo Sì sarebbe delittuoso, folle e inconcepibile non sfruttarlo fino all’ultima stilla di speranza.

Lo abbiamo scritto ormai quasi una settimana fa: quando è stato annunciato a Washington, domenica sera dallo stesso Trump e dal premier israeliano Benjamin Netanyahu, ha offerto subito tanti aspetti delicati, misteriosi o direttamente incomprensibili, ma anche alcune novità sostanziali.
Lo abbiamo sottolineato subito e sono esattamente quelle che hanno impedito ad Hamas di dire di No (perché questo è successo: non hanno potuto dire di No e non hanno potuto ascoltare chi voleva continuare una guerra senza speranza per pure motivazioni ideologiche).

Fra i suddetti punti risultati decisivi: addio alla folle e irrealistica ipotesi della deportazione di 2 milioni di gazawi.
Una totale pazzia, che pure per mesi è stata accarezzata pubblicamente anche dalla stessa amministrazione americana.

Averla abbandonata, come aver rimesso in gioco le Nazioni Unite nella distribuzione degli aiuti umanitari e aver promesso la libertà a quasi 2000 prigionieri palestinesi – di cui 250 ergastolani – sono concessioni di fatto. Possono apparire nulla agli occhi di chi pretenderebbe tutto e subito, ma questo è. Se vogliamo parlare della realtà, non dell’utopia, non del Paese dei campanelli che certa politica e certo sindacato si ostinano a raccontare.

Chi ha la pazienza di leggerci sa quante critiche abbiamo riservato a Donald Trump, al progetto Riviera, alle parole irrispettose e fantasiose dei mesi scorsi.
Per tacere della colpa storica del governo israeliano di aver compiuto a Gaza atti contrari ai più elementari principi di convivenza civile.

Restiamo noi, con la nostra razionalità inutile e sbeffeggiata, perché speriamo che gli uomini di
buona volontà – anche nelle realtà più impensabili e ributtanti – sappiano spingere verso un cessate il fuoco.
Cominciamo a salvare vite, poi ci occuperemo dei principi.

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