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Il trionfo di Trump e (l’immenso) lavoro da fare

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L’arrivo di Donald Trump in Israele e più tardi in Egitto, a Sharm el-Sheikh, per la firma della prima intesa fra Israele e Hamas per il cessate il fuoco è trionfale

Il trionfo di Trump e (l’immenso) lavoro da fare

L’arrivo di Donald Trump in Israele e più tardi in Egitto, a Sharm el-Sheikh, per la firma della prima intesa fra Israele e Hamas per il cessate il fuoco è trionfale

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Il trionfo di Trump e (l’immenso) lavoro da fare

L’arrivo di Donald Trump in Israele e più tardi in Egitto, a Sharm el-Sheikh, per la firma della prima intesa fra Israele e Hamas per il cessate il fuoco è trionfale

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L’arrivo di Donald Trump in Israele e più tardi in Egitto, a Sharm el-Sheikh, per la firma della prima intesa fra Israele e Hamas per il cessate il fuoco è trionfale. Ancor più nelle stesse ore del rilascio dei 20 ostaggi del 7 ottobre ancora in vita, atteso per questa mattina in due fasi.

Non potrebbe essere altrimenti, considerato il peso esercitato dalla Casa Bianca sulle parti per costringerle (più che spingerle) a un accordo, per quanto fragile e parziale. E quanto Trump abbia usato la sua personalissima idea di diplomazia per rimettere in gioco i mediatori arabi poi risultati fondamentali: Qatar ed Egitto su tutti. 

È umano e in qualche misura anche “giusto“ che il Presidente di Stati Uniti si goda il trionfo e con lui i suoi più stretti collaboratori, come già capitato nella giornata di sabato al genero Kushner e alla figlia Ivanka, riapparsa per l’occasione sul proscenio mondiale. 

Eppure, è la natura stessa dell’accordo che verrà siglato nelle prossime ore nel Sinai a suggerire la pratica della massima prudenza. 

Ricorrere, come tipico e oseremmo dire naturale per Trump, a immagini forti, iperboli, il tutto maiuscolo, gli aggettivi magniloquenti e tonanti fa parte del cinema, ma non deve farci dimenticare – sarebbe delittuoso e dilettantesco – l’estrema delicatezza del momento e l’assoluta fragilità dell’accordo medesimo. 

Il primo a saperlo è Donald Trump, che ha bisogno di questi momenti di trionfo per puntellare gli stessi firmatari e costringerli a tener fede alla parola data e metter mano ai punti ancora inesplorati, se non direttamente nebulosi. 

Il ritorno degli ostaggi a casa dopo oltre due anni e lo scambio con i prigionieri (avviato solo dopo il rientro dei superstiti), sono momenti fondamentali per garantire il cessate il fuoco e il quadro in cui già da alcuni giorni sono ripresi ad affluire gli aiuti a Gaza in modo molto più massiccio e coordinato rispetto a poche ore fa. Da ieri nuovamente sotto il controllo delle Nazioni Unite e non più di organizzazioni che definire opache appare poco. 

Nel momento massimo del trionfo pubblico, ai generali e agli imperatori dell’antica Roma veniva piazzato uno schiavo alle spalle con il compito di ricordar loro la caducità dell’uomo e delle sue fortune. 

Quanto servirebbe anche oggi, perché se il tentativo di taluni – molti in Italia – di annacquare il successo e i meriti del Presidente degli Stati Uniti è più patetico che ridicolo (può non piacerti, ma devi saper valutare i fatti), c’è un’immensità di lavoro da fare, mentre tanto nella Striscia quanto in Israele lavorano nell’ombra, senza sosta e vergogna coloro che non vedono l’ora di riportare le lancette di Gaza al martirio.

di Fulvio Giuliani

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