«Imminente attacco israeliano ai siti nucleari iraniani»: evacuate le ambasciate Usa in Medio Oriente
Dopo settimane di tentata de-escalation e di diplomazia incrociata, Tel Aviv avrebbe scelto di ignorare gli avvertimenti degli Usa. E ora starebbe preparando un attacco su vasta scala contro i siti nucleari iraniani
«Imminente attacco israeliano ai siti nucleari iraniani»: evacuate le ambasciate Usa in Medio Oriente
Dopo settimane di tentata de-escalation e di diplomazia incrociata, Tel Aviv avrebbe scelto di ignorare gli avvertimenti degli Usa. E ora starebbe preparando un attacco su vasta scala contro i siti nucleari iraniani
«Imminente attacco israeliano ai siti nucleari iraniani»: evacuate le ambasciate Usa in Medio Oriente
Dopo settimane di tentata de-escalation e di diplomazia incrociata, Tel Aviv avrebbe scelto di ignorare gli avvertimenti degli Usa. E ora starebbe preparando un attacco su vasta scala contro i siti nucleari iraniani
Alla fine sembra averla avuta vinta Israele. Dopo settimane di tentata de-escalation e di diplomazia incrociata, Tel Aviv avrebbe scelto di ignorare gli avvertimenti degli Usa. E ora starebbe preparando un attacco su vasta scala contro i siti nucleari iraniani. Conferme non ce ne sono, ma nel corso delle ultimissime ore Washington ha ordinato il «ritiro rapido e ordinato» del personale diplomatico e dei familiari dei militari stanziati in Iraq, Kuwait e Bahrain.
Inizialmente era coinvolta solo l’ambasciata di Baghdad, che si trova proprio nel mezzo di un’ipotetica “linea del fuoco” tra lo Stato Ebraico e gli ayatollah. Poi, nel corso della notte tra 11 e 12 giugno, l’ordine di evacuazione è stato esteso alle altre missioni americane nell’area. Il timore che Israele decidesse di attaccare il programma nucleare iraniano, anche senza l’appoggio di Washington, viene ora giudicato come una certezza. Gli Usa sono anzi convinti che i raid non solo ci saranno, che saranno massicci e diretti contro infrastrutture finora intoccate (più per “quieto vivere mediorientale” che per impossibilità materiale), ma che siano imminenti.
A spingere Tel Aviv a prendere la decisione di attaccare i siti nucleari iraniani avrebbero contribuito almeno due fattori. Il primo: il fallimento sostanziale delle trattative tra Washington e Teheran per la denuclearizzazione della teocrazia sciita. Gli ayatollah hanno infatti rifiutato di rinunciare al nucleare, tanto di grado militare quanto dei suoi impieghi civili. Il secondo: stando agli ultimi rapporti dell’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, l’Iran dispone di sufficiente uranio arricchito per produrre almeno una decina di testate atomiche. Anche se avrà bisogno ancora di qualche tempo perché l’esplosivo sia pronto all’uso.
A nulla valgono le rassicurazioni pubbliche del presidente, Masoud Pezeshkian, secondo cui il Paese «non ha intenzione di produrre armi nucleari». Anche perché a Roma, durante le negoziazioni, la delegazione iraniana ha fatto intendere l’esatto contrario. Confermando così le intenzioni di Benjamin Netanyahu, che ancora lunedì aveva tentato di convincere Donald Trump della necessità di colpire per primi (ricevendo in risposta un secco rifiuto). Eccolo, il terzo motivo i un possibile attacco: Bibi e la sua sete di potere. Finché c’è guerra non ci sono elezioni. E finché non ci sono elezioni la sua traballante e spaccata maggioranza parlamentare si sforza di stare assieme. In questi giorni però i traballamenti sono più forti, con la destra messianica pronta a staccare la spina se gli studenti delle scuole ultraortodosse non saranno esentati dalla leva. Serve una distrazione. E Gaza, a quanto pare, non basta più.
Di Giorgio Patto
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