Mario Draghi esporta negli Usa di Biden la politica più credibile tra i leader Ue
Mario Draghi, nell’incontro a Washington con Biden, esporta la politica più credibile tra i leader Ue. E inneggia alla pace, mentre Putin continua a minacciare il mondo con le armi nucleari.
Mario Draghi esporta negli Usa di Biden la politica più credibile tra i leader Ue
Mario Draghi, nell’incontro a Washington con Biden, esporta la politica più credibile tra i leader Ue. E inneggia alla pace, mentre Putin continua a minacciare il mondo con le armi nucleari.
Mario Draghi esporta negli Usa di Biden la politica più credibile tra i leader Ue
Mario Draghi, nell’incontro a Washington con Biden, esporta la politica più credibile tra i leader Ue. E inneggia alla pace, mentre Putin continua a minacciare il mondo con le armi nucleari.
Mario Draghi, nell’incontro a Washington con Biden, esporta la politica più credibile tra i leader Ue. E inneggia alla pace, mentre Putin continua a minacciare il mondo con le armi nucleari.
Siamo onesti, le visite dei presidenti del Consiglio italiani negli Stati Uniti d’America raramente riscuotono grande interesse a Washington e dintorni. Sin dagli anni Cinquanta, riti della massima importanza per il politico italiano di turno, in ragione delle forti ricadute interne. Quanto agli Usa, la Casa Bianca non aveva bisogno di aspettare l’arrivo del capo di governo di Roma per conoscere pregi e debolezze di un’alleanza comunque ferma e strategica.
Questa volta Mario Draghi ha fatto notizia. Non tanto per gli aspetti più superficiali e le curiosità legate alla sua formazione, ai rapporti d’amicizia con alti rappresentanti dell’establishment americano. Questo è colore. No, ci riferiamo all’aver portato nello Studio Ovale la politica più credibile fra i grandi partner europei. Non a caso, il rilievo della posizione assunta dal presidente del Consiglio italiano nell’Ue è stato sottolineato dal “Washington Post” – il gendarme dell’America liberal insieme al “New York Times” – in un lungo commento dedicato all’incontro fra Draghi e Biden.
Potremmo anche procedere per sottrazione: di Macron gli americani si fidano, ma sempre fino a un certo punto e viceversa. Del resto, fu proprio il presidente francese a definire «un ectoplasma» la Nato. Altri tempi, ma il giudizio è destinato a restare. Il cancelliere tedesco Scholz è all’inizio del suo percorso e ha rilevanti problemi politici di equilibrio interno, oltre che una tendenza a non esporsi e non parlare che comincia a pesare. Mario Draghi, pur zavorrato dalla sua riottosa maggioranza, porta in dote la cristallina posizione atlantista dell’Italia, accompagnata da una capacità di visione europeista, esposta da un uomo di cui gli americani hanno profonda stima e che oggi è un asset della politica occidentale.
In Italia, per provincialismo, abbiamo vivisezionato le parole di Draghi a Washington, isolando il suo richiamo alla pace. L’evidente tentativo era quello di leggerci chissà quali fratture fra le due sponde dell’Atlantico. In realtà, sarebbe bastato leggere l’intera frase e il riferimento alla pace sì, ma «non imposta» per spazzar via l’equivoco.
Stesso schema applicato all’invito di Draghi al capo della Casa Bianca perché senta direttamente Vladimir Putin. L’Occidente non si sposterà per questo dalla sua strategia, imperniata su sanzioni progressivamente più dure, tese a costringere il Cremlino ad accettare una trattativa. Obiettivo mancato sino a oggi, perché – come abbiamo ricordato più volte – le sanzioni non sono bombe o missili. Gli effetti sono ritardati, ma ci sono eccome.
Lo ha paradossalmente dimostrato lo stesso Putin, quando ieri ha cercato goffamente di ribaltare la realtà, indicando l’inflazione come prova che le sanzioni starebbero colpendo più i Paesi promotori che non la Russia. L’inflazione sale, oltre che per effetti legati al post-pandemia, perché lo zar ha scatenato una guerra in Ucraina, non perché l’Occidente ha reagito alla sua aggressione. Nessuno nega un riflesso delle misure contro la Russia, ma presto Mosca non avrà più mercato per le sue materie prime, se non accettando le condizioni della bottega cinese e finendo per divenire una colonia di Pechino.
Sinora, come riconosciuto dallo stesso Draghi quando parlò delle telefonate di Macron al Cremlino, è risultato inutile ogni tentativo di abboccamento e ieri dalla Russia sono arrivate nuove minacce nucleari, alla faccia di chi parla di Occidente guerrafondaio. La pace va raggiunta, non c’è pace senza trattative (e telefonate) e non ci sarà trattativa senza sanzioni. Non vedere tutto questo e sforzarsi di trovare la chiave per piegare il viaggio e le parole del capo del governo alla retorica della spaccatura a Ovest, è solo l’ultimo riflesso di un antiamericanismo duro a morire. Sentimento che fu comunista o neofascista e che oggi si veste di un improbabile passione per i regimi liberticidi.
Nella visione antiamericana del mondo, il ruolo dell’Italia sarebbe quello del cagnolino al guinzaglio degli Usa. Curioso come i nuovi interpreti di questo antico odio non vedano l’ora di sostituire il (presunto) collare americano con la pesante catena russa, ostentando anche l’aria dei grandi profeti della libertà.
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