La disperazione dell’Iran nascosta dietro 180 missili
Solo la disperazione, l’impotenza, la necessità di dare un messaggio può aver spinto l’Iran a una mossa come quella di ieri
La disperazione dell’Iran nascosta dietro 180 missili
Solo la disperazione, l’impotenza, la necessità di dare un messaggio può aver spinto l’Iran a una mossa come quella di ieri
La disperazione dell’Iran nascosta dietro 180 missili
Solo la disperazione, l’impotenza, la necessità di dare un messaggio può aver spinto l’Iran a una mossa come quella di ieri
Solo la disperazione, l’impotenza, la necessità di dare un messaggio può aver spinto l’Iran a una mossa come quella di ieri
La cifra è la disperazione. Solo la disperazione, l’impotenza, la necessità di dare un messaggio – soprattutto agli oppositori interni e alle organizzazioni terroristiche prezzolate di Hamas e di Hezbollah – può aver spinto l’Iran a una mossa come quella di ieri.
Lanciare circa 180 missili verso Israele, formalmente per vendicare l’eliminazione (oltretutto in casa propria!) del numero due di Hamas Hanyeh e del leader di Hezbollah Nasrallah, in realtà è servito a non perdere definitivamente quel po’ di faccia rimasta. L’Iran fa i conti con il disastro dei due colpi inferti dall’intelligence e dall’esercito israeliani con le due eliminazioni eccellenti, la decapitazione di fatto dei vertici di Hamas e Hezbollah e l’operazione dei cercapersone.
Teheran sentiva di dover fare qualcosa e ha tentato un colpo che si è infranto nella quasi totalità sulla difesa antimissile israeliana – incentrata sul celeberrimo Iron Dome – ma anche sulla contraerea statunitense pronta da tempo a sostenere l’alleato. Attenzione: ancora una volta, missili iraniani sono stati intercettati e abbattuti nello stesso cielo della Giordania.
Il che conferma che quando c’è di mezzo l’Iran gli altri Paesi della regione sono tutt’altro che dispiaciuti all’idea che Israele faccia il lavoro sporco anche per conto loro, contro quello che di fatto è un nemico comune.
La mossa disperata iraniana, dunque, ha spinto quasi tutta Israele nei rifugi, ha tenuto per circa 90 minuti con il fiato sospeso il globo, ma si è risolta in una clamorosa disfatta di carattere militare e tecnico. Il fallimento è evidente, totale e lascia esposto il regime alla prevedibilissima reazione israeliana.
Non sarà sfuggito a nessuno il particolare del trasferimento in tutta fretta e in una località sicura della guida suprema iraniana Khamenei, quando si è capito che il colpo era andato a vuoto.
Il regime sciita è nudo, non da ieri, ma da ieri ancor più. Il che presumibilmente lo porterà a essere ancora più spietato e fermo nei confronti degli oppositori interni, direttamente chiamati in causa dal leader israeliano Netanyahu nel suo discorso dell’altro ieri con quel: “Iraniani presto sarete liberi“.
La regione è in fiamme, corriamo tutti sul filo, ma l’estrema debolezza iraniana potrebbe anche rivelarsi la chiave per ritrovare una strada che porti a un primo cessate il fuoco, una volta che Israele avrà completato la sua missione di terra nel sud del Libano. La speranza è che a Teheran, dopo la disperazione di ieri, sopraggiunga un briciolo di razionalità e pragmatismo, comprendendo che la via del confronto aperto militare porterebbe al disastro e che nell’intera area non c’è un Paese disposto a muovere un dito per il regime sciita iraniano. Come la misura della reazione israeliana, su cui la Casa Bianca sta lavorando in queste ore, sarà un altro degli elementi chiave per gestire il grande sospiro di sollievo di Israele seguito al fallimento del bombardamento di ieri.
di Fulvio Giuliani
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