Iran, il prezzo del cessate il fuoco
Per molti attivisti in Iran l’attacco contro la Repubblica Islamica aveva rappresentato una speranza
Iran, il prezzo del cessate il fuoco
Per molti attivisti in Iran l’attacco contro la Repubblica Islamica aveva rappresentato una speranza
Iran, il prezzo del cessate il fuoco
Per molti attivisti in Iran l’attacco contro la Repubblica Islamica aveva rappresentato una speranza
Per molti attivisti iraniani l’attacco contro la Repubblica Islamica aveva rappresentato una speranza: la possibilità che Israele colpisse abbastanza a fondo da indebolire il regime fino a renderne possibile la caduta. Ma dopo appena dodici giorni si è arrivati a una tregua, lasciando la leadership iraniana come un animale ferito e rabbioso. Indebolita sì, ma proprio per questo ancora più determinata a riaffermare il proprio controllo attraverso la repressione.
Il cessate il fuoco potrà aver rassicurato chi vede nella guerra un male assoluto, ma – come spesso accade con i regimi – ha soltanto coperto un altro conflitto, quello tra lo Stato e il suo popolo. Mentre il fronte esterno si calma, all’interno si scatena una repressione feroce: accuse di spionaggio, arresti di massa, condanne a morte. Migliaia di prigionieri rischiano l’impiccagione nei prossimi giorni. Il terrore messo in atto dal regime è diventato ancora più sottile e capillare, trasformatosi dopo la tregua in una paranoia diffusa contro ogni forma di dissenso. Posti di blocco ovunque, pattuglie dei Basij a presidiare le strade, interruzione di Internet, censura al massimo livello: il volto più oscuro della Repubblica Islamica è riemerso, più aggressivo che mai.
Nelle carceri iraniane molti prigionieri politici sono scomparsi. Trasferiti? Uccisi? Le famiglie non ricevono notizie. Processi accelerati, imputazioni aggravate, condanne a morte eseguite con ritmo crescente. Ma è il numero degli arresti a dare la misura della repressione in atto: secondo le stesse autorità iraniane, sono oltre 700 le persone fermate in pochi giorni. A rischiare l’impiccagione sono ora anche i ragazzi di Ekbatan, il quartiere popolare di Teheran diventato simbolo della resistenza giovanile. È lì che la nuova generazione del Paese ha trovato voce, sfidando apertamente il regime. Sei di loro sono stati arrestati per essere saliti sui tetti a gridare «Morte a Khamenei! Morte al dittatore!».
E naturalmente la repressione non ha risparmiato la comunità ebraica, che conta circa 9mila persone in Iran. Durante il conflitto con Israele avevano scelto il silenzio, mantenendo un profilo basso per evitare sospetti di collaborazionismo o spionaggio. Ma non è bastato. Le autorità hanno comunque colpito: si segnalano arresti di rabbini ed esponenti della comunità, in un clima di sospetto generalizzato.
Tra gli oppositori del regime residenti all’estero – repubblicani e monarchici, di sinistra e di destra – il cessate il fuoco ha lasciato l’amaro in bocca. Per molti, soprattutto per chi ha familiari ancora in Iran, il vero timore non erano i raid israeliani (mirati per lo più a strutture militari) ma la reazione brutale e indiscriminata del regime. In larga parte solidale con Israele e ostile ai mullah, questa diaspora ha vissuto la tregua come una resa e la retromarcia di Donald Trump come un tradimento e un’occasione persa.
Secondo Ashkan Rostami – del Partito costituzionale dell’Iran – fino a poche ore prima del cessate il fuoco era convinzione diffusa che Trump fosse pronto ad andare fino in fondo. Era perfino stato annunciato il progetto Make Iran Great Again (Miga). Circolava l’ipotesi di un’intesa tra Stati Uniti, Russia e Cina per il regime change. La voce, amplificata da alcuni canali Telegram, parlava di incontri riservati. Poi la marcia indietro. La sensazione ora è quella di un déjà vu: lo stesso copione della prima guerra del Golfo, quando George Bush Sr. rinunciò ad arrivare a Baghdad, lasciando Saddam Hussein al potere. Ma forse, scrivono alcuni commentatori iraniani in esilio, si tratta soltanto di un primo atto di una storia ancora da scrivere. Perché la Repubblica Islamica non rinuncerà al nucleare né rispetterà gli accordi.
di Alessandra Libutti
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