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repressione Iran

Iran, la repressione uccide le donne coraggiose

Nika è una delle 154 persone uccise dalla brutale repressione in Iran delle agenzie ufficiali e semiufficiali per la gestione dell’ordine pubblico.
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Iran, la repressione uccide le donne coraggiose

Nika è una delle 154 persone uccise dalla brutale repressione in Iran delle agenzie ufficiali e semiufficiali per la gestione dell’ordine pubblico.
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Iran, la repressione uccide le donne coraggiose

Nika è una delle 154 persone uccise dalla brutale repressione in Iran delle agenzie ufficiali e semiufficiali per la gestione dell’ordine pubblico.
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Nika è una delle 154 persone uccise dalla brutale repressione in Iran delle agenzie ufficiali e semiufficiali per la gestione dell’ordine pubblico.

Capelli corti, nessun velo, vestita con una t-shirt e pantaloni sportivi. Nell’ultimo video canta una vecchia canzone d’amore, “Soltante Ghalbha” (“Re di cuori”, ndr). Nika Shakarami, 17 anni, è l’ultima vittima della violenta repressione del regime iraniano contro i manifestanti scesi in piazza per la morte di Mahsa Amini. La scomparsa di Nika risale al 20 settembre, dopo aver preso parte a una manifestazione a Teheran. Nel suo ultimo messaggio a un’amica, la giovane aveva raccontato di essere inseguita dalle forze di sicurezza. Il suo corpo è stato ritrovato dalla famiglia dopo dieci giorni: naso rotto e testa fracassata. Ma non è finita qui. Le forze di sicurezza hanno intimato ai familiari della giovane di non tenere una cerimonia funebre ma, nonostante le assicurazioni ricevute, non hanno esitato a trafugare il corpo per seppellirlo in un villaggio a 40 chilometri di distanza.

Nika è una delle 154 persone uccise dalla brutale repressione delle agenzie ufficiali e semiufficiali per la gestione dell’ordine pubblico. Secondo Iran Human Rights, nella sola Zahedan ne sono morte 63. Alcune sono state uccise sul colpo, altre sono decedute a causa delle ferite riportate. Morte ma anche soprusi e angherie. Sono stati denunciati diversi abusi sessuali in tutto il Paese. Sempre a Zahedan un capo della polizia ha stuprato una ragazza di 15 anni. I residenti si sono riuniti dopo la preghiera del venerdì ma la contestazione è stata repressa nel sangue. Come sempre.

Arresti e violenze non hanno però fermato il coraggio delle donne iraniane. Giovani e anziane continuano a bruciare il velo islamico, obbligatorio da più di quarant’anni. Un atto fortemente simbolico, come delle catene che vengono spezzate. Capelli al vento, sfidando manganelli e proiettili. «Donna, vita, libertà!», il canto scandito nelle piazze per sfidare un regime medioevale, pronto a tutto per annullare diritti e identità. Un moto guidato dai giovani, da una generazione che non ha paura di niente e di nessuno, decisa a mettere da parte divisioni etniche e di classe in nome della libertà.

La comunità internazionale si è schierata al fianco dei manifestanti. Cortei e piazze piene in 150 Paesi, celebrità in prima linea sui social per smuovere le coscienze dei seguaci. Fare rete per superare gli ostacoli. Per annientare il dissenso, Teheran ha spaventato giornalisti e attivisti di spicco con intimidazioni e arresti. Lo stesso modus operandi di sempre. Oggi Faezeh Hashemi e Shervin Hajipour, ieri il caso emblematico di Jafar Panahi. Attualmente dietro le sbarre per aver partecipato a una protesta contro alcuni arresti ingiustificati, il regista da anni è costretto a lavorare in regime di clandestinità. Il suo ultimo film-denuncia – il capolavoro “Gli orsi non esistono” (in sala con Academy Two) – è un manifesto della resistenza del popolo iraniano. «Siamo nati liberi e vogliamo morire liberi», il grido di un Paese che sta rinascendo grazie alle sue donne.

di Massimo Balsamo 

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