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Iran, l’orrore e noi

Le atrocità e le barbarie di quel regime in Iran sono note, evidenti e ormai conclamate. Ma noi?
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Iran, l’orrore e noi

Le atrocità e le barbarie di quel regime in Iran sono note, evidenti e ormai conclamate. Ma noi?
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Iran, l’orrore e noi

Le atrocità e le barbarie di quel regime in Iran sono note, evidenti e ormai conclamate. Ma noi?
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Le atrocità e le barbarie di quel regime in Iran sono note, evidenti e ormai conclamate. Ma noi?

Un parente del marito a spingere via con un calcio la pedana su cui poggiava. Così si muore nel 2023 in Iran. Così è morta Samira Sabzian, diciottesima donna giustiziata nel 2023. Impiccata dopo dieci anni di carcere. Dieci anni ad aspettare la morte. Una tortura che si aggiunge all’orrore. Impiccata per aver ucciso il marito violento con cui, appena 15enne, era stata costretta a sposarsi. In un Paese in cui naturalmente il divorzio non esiste. Un Paese che ci racconta – in modo vivido e talmente evidente che è impossibile ignorarlo – quali siano i risultati di certi estremismi. Le donne uccise che figurano nell’elenco di Human Rights Watch non compaiono negli elenchi ufficiali dell’Iran. Perché neanche nella morte sono uguali agli uomini.

Samira, la ‘sposa bambina’, per dieci anni non ha mai visto i due figli nati dall’unione con quell’uomo. Ha scelto di non vederli, di punirsi oltre a quanto già la legge – se così la si può chiamare – la stesse punendo. Sperava di ottenere il perdono della famiglia del marito. Perché in Iran spetta ai familiari di chi viene ucciso decidere se perdonare o far morire. Naturalmente per lei non c’è stato alcun perdono. Si chiama qisas ed è il principio dell’occhio per occhio, dente per dente. La legge del taglione che può essere invocata dalla famiglia della vittima. E poco importa cosa Samira avesse subìto da quel marito. Così funziona nel 2023 in Iran.

E qui veniamo a noi. Le atrocità e le barbarie di quel regime sono note, evidenti e ormai conclamate. Ma noi? Noi che giustamente discutiamo degli omicidi in casa nostra, per quante ore parleremo di Samira? Poche. Giusto il tempo che questa notizia – come tante altre – finisca nel dimenticatoio. Eppure la morte di Samira (come quella di tante altre donne e tanti altri uomini) sono gli effetti di quegli estremismi che vediamo anche altrove. Estremismi che non possono, non devono essere difesi. Perché nessuna ragione politica o storica può giustificare certe atrocità. Nessuna ragione religiosa può farlo.

Abbiamo parlato di una donna, ma nel solo mese di novembre in Iran le condanne a morte eseguite sono state 120. Tre di queste sono avvenute in pubblico. Sono numeri che devono impressionare perché davvero questo è il Medioevo, ma nel 2023. Numeri che fra l’altro sono aumentati dall’inizio della guerra a Gaza. Come se spostare l’attenzione altrove facesse sentire in qualche modo agli ayatollah maggiore libertà di azione. Non siamo ovviamente responsabili di quello che lì accade. Ma lo diventiamo se continuiamo a far finta di non vedere.

di Annalisa Grandi  La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!

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