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Israele cambia strategia 

Pur non annunciandola pubblicamente, Israele ha cominciato la terza fase della guerra nella Striscia di Gaza

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Pur non annunciandola pubblicamente, Israele ha cominciato la terza fase della guerra nella Striscia di Gaza

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Pur non annunciandola pubblicamente, Israele ha cominciato la terza fase della guerra nella Striscia di Gaza

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Pur non annunciandola pubblicamente, Israele ha cominciato la terza fase della guerra nella Striscia di Gaza

Pur non annunciandola pubblicamente, Israele ha cominciato la terza fase della guerra nella Striscia di Gaza. Il conflitto proseguirà per diversi mesi e avrà un volto differente rispetto a quello condotto fin qui: si concentrerà su azioni di elevata potenza, ma circoscritte. Tramite le informazioni raccolte dal servizio segreto interno (Shin Bet) e da quello esterno (Mossad), governo ed esercito potranno individuare la formazione di nuove unità di Hamas, agendo prontamente per eliminarle. Al tempo stesso Israele distruggerà tunnel, siti logistici usati dai terroristi ed eliminerà le figure ai vertici dell’organizzazione. Con un raid aereo in prossimità di un campo profughi a Khan Yunis, pochi giorni fa l’esercito israeliano ha ucciso per esempio il comandante dell’omonima brigata Rafaa Salameh e, con ogni probabilità, Mohammed Deif, capo delle brigate Al-Qassam, il braccio armato di Hamas. L’uccisione di quest’ultimo, tentata per decenni senza successo, se accertata segnerebbe un colpo potenzialmente decisivo assestato all’organizzazione terroristica. A lasciar presagire che il risultato sia stato conseguito, alcuni fattori: in primis la conferma che il bersaglio si trovasse proprio lì, perché nell’area colpita è stata accertata la presenza di numerose sue guardie del corpo ed è difficile che possa essersi rifugiato in un luogo sicuro prima dell’improvviso attacco.

In secondo luogo, la reazione di Hamas: dopo gli attentati a Deif aveva privilegiato l’uso dell’ambiguità, né smentendo né confermando il buon esito dell’azione avversaria. In questo caso continua invece a negare l’uccisione, sostenendo che il leader delle brigate stia bene e che ad aver perso la vita nell’operazione siano stati quasi 100 civili innocenti. In realtà, come testimoniato dalle immagini dei satelliti, l’attacco non ha coinvolto la ‘zona umanitaria sicura’ e ha risparmiato coloro che erano ammassati all’interno: è stata colpita con chirurgica precisione una zona adiacente, in cui si trovavano Deif, Salameh, decine di funzionari e soldati di Hamas. Il colpo assestato all’organizzazione politico-militare potrebbe incrementare il caos già presente al suo interno: molti esponenti di spicco sono rifugiati all’estero (e ritenuti da Israele obiettivi designati), mentre una delle figure principali, Yahya Sinwar, si crede sia nascosta nelle viscere della Striscia. Il momento dell’arresto o della sua uccisione si sta avvicinando, secondo l’intelligence di Gerusalemme. L’eventualità rappresenterebbe un momento chiave per il futuro della regione mediorientale: con la sua uscita di scena la guerra arriverebbe a una fase cruciale, perché simbolicamente saremmo dinanzi alla fine di Hamas. Inoltre rappresenterebbe la vittoria della sfida personale che Benjamin Netanyahu ha intrapreso contro un avversario criminale, capace di orchestrare il pogrom senza precedenti (Olocausto escluso) del 7 ottobre.

Negli anni passati la presunta disponibilità di Sinwar a mantenere uno status quo semi-pacifico con Israele ed evitare attacchi di proporzioni eclatanti aveva illuso il premier di poterne tenere a bada l’istinto barbaro. Il 7 ottobre – oltre a rappresentare uno shock colossale per il Paese – ha segnato un risveglio drammatico per i suoi vertici istituzionali. Anche da qui si genera la loro categorica intenzione di impedire che qualcosa di simile possa ripetersi in futuro, sradicando definitivamente la minaccia rappresentata da Hamas. Un’esigenza che, per essere raggiunta, non necessita più di una guerra su larga scala.

Di Tommaso Alessandro De Filippo

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