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Kiev armi

Kiev ha disperatamente bisogno di armi

A due anni dall’inizio del conflitto, l’Ucraina sembra non essere più il baluardo da difendere dell’Occidente. Cosa c’è dietro questa progressiva diminuzione dell’impegno occidentale?

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Kiev ha disperatamente bisogno di armi

A due anni dall’inizio del conflitto, l’Ucraina sembra non essere più il baluardo da difendere dell’Occidente. Cosa c’è dietro questa progressiva diminuzione dell’impegno occidentale?

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Kiev ha disperatamente bisogno di armi

A due anni dall’inizio del conflitto, l’Ucraina sembra non essere più il baluardo da difendere dell’Occidente. Cosa c’è dietro questa progressiva diminuzione dell’impegno occidentale?

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A due anni dall’inizio del conflitto, l’Ucraina sembra non essere più il baluardo da difendere dell’Occidente. Cosa c’è dietro questa progressiva diminuzione dell’impegno occidentale?

L’Ucraina, a due anni dall’inizio del conflitto, sembra non essere più il baluardo dell’Occidente da difendere. Pare invece che sia sempre più un cuscino da mantenere il più possibile funzionale, mentre alle sue spalle si costruisce un muro più massiccio. L’impegno occidentale per Kiev è al minimo dal febbraio 2022. L’addestramento del suo personale, garantito da vari Paesi (tra cui l’Italia, che nel 2023 ha formato circa 1.420 soldati) è una parte importante della costruzione di capacità di un esercito, ma anche gli uomini migliori – se non armati – sono impotenti davanti ai muri di cingoli, droni e bombe di un nemico come la Russia. Kiev ha bisogno di armi. Disperatamente. Zelensky e i suoi non sanno più come farcelo capire. Ormai quasi ci urlano contro, chiedendo missili antiaerei (Patriot, Hawk, Iris-T e altri) e proiettili d’artiglieria. Sembra che l’Occidente, dopo due anni, non ci senta più. E le dichiarazioni dell’Europa non bastano a bilanciare il progressivo disimpegno americano.

I fatti smentiscono le parole delle Capitali del Vecchio Continente. Prendiamo la Danimarca, che doveva fornire 19 caccia F-16 all’Ucraina. Alla fine di marzo Copenaghen ha invece deciso a consegnarne – per ora – soltanto 6, confermando nello stesso momento l’intenzione di venderne una ventina all’Argentina. Oppure la Norvegia, che proprio ieri ha annunciato l’invio di 22 aerei a Kiev. C’è un problema però: 10 non sono operativi. Poco più che rottami malconci, vanno bene solo come fonte di parti di ricambio. Cosa c’è dietro questa progressiva diminuzione dell’impegno occidentale? La risposta, implicitamente, l’ha data giovedì il generale Francesco Figliuolo, capo del Comando operativo di vertice interforze, in audizione al Senato. Nella sua relazione sull’impegno militare italiano all’estero ha sottolineato il nostro crescente coinvolgimento sul fianco Est della Nato. Lo scorso anno avevamo schierato circa 2.500 uomini e donne. Nel 2024 arriveremo a 3mila, con 1.100 veicoli (inclusi carri armati), 20 aerei e una fregata nel Mar Baltico. Cosa ci dice questa maggiore presenza, italiana e non, sulla frontiera orientale? Che il timore di un confronto diretto con la Russia sarebbe ormai talmente materiale e preoccupante da spingere tutti i governi nella stessa direzione, quella dell’autodifesa.

Se a rischio ci siamo noi, direttamente, allora gli sforzi dovrebbero focalizzarsi sulla nostra prontezza. È la posizione espressa ieri mattina dal primo ministro polacco Donald Tusk: «Dobbiamo aiutare l’Ucraina il più possibile, ma tutta l’Europa deve anche pensare più attivamente a come aiutare Paesi come la Polonia e l’Estonia, che si trovano in prima linea. Se siamo un’unica Europa, significa che la guerra è alle porte per tutti». Tradotto: incrementiamo la produzione di armi per riempire di nuovo gli arsenali, non per inviarle a Kiev. Una visione, ancora ipotetica, assai miope. Perché se l’Ucraina cadesse, la Russia diventerebbe più forte. E i nostri preparativi, per quanto massicci, potrebbero non bastare a contenerla.

Di Umberto Cascone

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