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La Cina mostra due nuovi jet militari per spaventare l’Occidente

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La Cina ha mostrato al mondo due nuovissimi jet da combattimento. Ma non l’ha fatto in pompa magna, come suo solito

La Cina mostra due nuovi jet militari per spaventare l’Occidente

La Cina ha mostrato al mondo due nuovissimi jet da combattimento. Ma non l’ha fatto in pompa magna, come suo solito

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La Cina mostra due nuovi jet militari per spaventare l’Occidente

La Cina ha mostrato al mondo due nuovissimi jet da combattimento. Ma non l’ha fatto in pompa magna, come suo solito

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La Cina ha mostrato al mondo due nuovissimi jet da combattimento. Ma non l’ha fatto in pompa magna, come suo solito. Ha preferito piuttosto una breve comparsata nei cieli di Chengdu e Shenyang, in prossimità delle fabbriche delle due principali industrie aeronautiche militari del Dragone. Le immagini catturate dai presenti sono sgranate e hanno quel sapore di ‘segreto svelato’ che tanto piace alle intelligence.

Di cosa parliamo è difficile a dirsi. Partiamo dunque da quello che i due aerei sembrano: un grosso campanello d’allarme per l’Occidente. A una prima occhiata, infatti, i jet apparterrebbero alla prossima generazione di velivoli militari, la Sesta. Che da noi è ancora in fase progettuale e ben lontana dalla realizzazione. Si definisce di sesta generazione un aereo che unisce alle capacità del livello precedente (come gli F-35) – su tutte, l’invisibilità ai radar – l’abilità supercruise (volo supersonico senza l’attivazione dei postbruciatori dei motori), l’interazione con droni gregari e un migliore profilo stealth.

In Occidente siamo in alto mare. Dei tre progetti esistenti l’unico ad andare avanti è il Gcap italo-nippo-britannico. Francesi e tedeschi litigano da anni sul loro Scaf, mentre gli Stati Uniti continuano a ritardare il programma Ngad. Se la Cina fosse già arrivata alla valutazione dei prototipi vuol dire che siamo in gravissimo ritardo. Specie Washington, che ancora spera di fermare le mire di Pechino su Taiwan e sull’intero Pacifico.

Più in dettaglio, però, gli aerei cinesi potrebbero non essere tutti di sesta generazione. Il primo, quello di Chengdu, è molto grande. Ha forma triangolare, tre motori sul retro, nessun timone verticale e tre prese d’aria. La forma della cabina ricorda quella dello Scaf franco-tedesco, per questo si è subito pensato a un velivolo di Sesta. Ma le dimensioni sono davvero eccessive e gli esperti propendono per un jet di quinta generazione: un regional bomber, un bombardiere a medio raggio da impiegare contro Taiwan e le installazioni militari statunitensi nel Pacifico.

Il secondo, che ha volato a Shenyang, sembra più papabile come cacciabombardiere di Sesta. Di dimensioni normali per la categoria – con due soli motori, una struttura a punta di freccia e nessuna superficie di controllo verticale – assomiglia ad alcuni dei concept più avveniristici dello Ngad americano. D’altronde, con due mezzi di Quinta operativi, alla Cina un terzo non servirebbe. È più probabile che si tratti di un salto in avanti.

Dobbiamo correre ai ripari? Forse no. La presentazione dei due velivoli è avvenuta troppo in sordina, senza conferme ufficiali ma a favore di telecamera. Pare più un messaggio all’Occidente: «Siamo pronti a fare meglio di voi». Del resto, i due ‘prototipi’ mostrano ancora la più grande carenza cinese in campo aeronautico: i motori, che la Cina non riesce a sviluppare in autonomia. L’aereo più grande ne ha tre, tutti affiancati, lasciando poco spazio alle armi e appesantendo la fusoliera. Ma se non sai produrne due più potenti… Il jet più piccolo lascia invece dietro di sé una scia nerastra che, almeno da noi, non si vede dagli anni Novanta. E che elimina le qualità stealth del velivolo, essendo individuabile dai missili.

Ma non dobbiamo sottovalutare Pechino, che sa di non poter vincere una guerra soltanto con la disinformazione. Se ha scelto di mostrarsi pronta dove non lo è, significa che conta di recuperare in poco tempo. Anche per noi, dunque, è arrivato il momento di pigiare sull’acceleratore per non farci cogliere impreparati.

di Umberto Cascone

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