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La Colombia ripiomba nell’incubo Escobar con il ‘plan pistola’

A 29 anni dalla morte di Pablo Escobar, lo spietato narcotrafficante di “Narcos”, torna la paura in Colombia con il clan del Golfo e l’ormai nota pratica criminale del ‘plan pistola’.
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La Colombia ripiomba nell’incubo Escobar con il ‘plan pistola’

A 29 anni dalla morte di Pablo Escobar, lo spietato narcotrafficante di “Narcos”, torna la paura in Colombia con il clan del Golfo e l’ormai nota pratica criminale del ‘plan pistola’.
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La Colombia ripiomba nell’incubo Escobar con il ‘plan pistola’

A 29 anni dalla morte di Pablo Escobar, lo spietato narcotrafficante di “Narcos”, torna la paura in Colombia con il clan del Golfo e l’ormai nota pratica criminale del ‘plan pistola’.
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A 29 anni dalla morte di Pablo Escobar, lo spietato narcotrafficante di “Narcos”, torna la paura in Colombia con il clan del Golfo e l’ormai nota pratica criminale del ‘plan pistola’.
Una taglia compresa tra 1 e 3 milioni di pesos, poco meno degli attuali 4 e 12mila euro: tanto valeva nei primi anni Novanta la vita di un poliziotto per Pablo Escobar Gaviria, lo spietato narcotrafficante colombiano che ancora oggi, a 29 anni dalla sua morte, resta uno dei più chiacchierati anche grazie alla seguitissima serie Netflix “Narcos”. Questa pratica criminale di ricompensare chi uccide un rappresentante delle forze dell’ordine ha un nome ben preciso – plan pistola – ed è tornata in auge nel Paese latino con il tragico bilancio di 35 poliziotti uccisi solo quest’anno (una media di 5 agenti al mese). I responsabili di questo massacro sono gli appartenenti al clan del Golfo, l’ingranaggio colombiano che dal Messico esporta la droga verso Stati Uniti ed Europa. La ragione che li ha fatti così ‘arrabbiare’, tanto da far ripiombare la Colombia ai tempi bui di Escobar, è stata l’estradizione verso gli Stati Uniti di “Otoniel” (quello che noi chiameremmo “Antonino”), uno dei massimi esponenti del cartello, che nel suo curriculum vanta l’uccisione di 25 poliziotti e 24 membri dell’esercito. La polizia colombiana sta adottando una serie di accortezze per arginare il fenomeno: aumentare il numero degli agenti in borghese, permettergli di portare le pistole a casa a fine turno; obbligare gli agenti a circolare sulla stessa moto, con quello dietro pronto a reagire con il colpo in canna. Un’escalation di violenza a cui la Colombia non era più abituata e che spinge molti a chiedere al nuovo governo del presidente ex guerrigliero Gustavo Petro – insediatosi il 7 agosto (l’Independence day colombiano) – di imbastire un tavolo delle trattative con il clan. Quest’ultimo sta seminando il panico non solo tra le forze dell’ordine ma anche tra la popolazione tramite i cosiddetti scioperi armati, durante i quali viene impedito il transito ai tir, agli autobus e alle vetture private; con la polizia che non riesce mai (o non vuole?) ad arrivare per tempo anche perché – va detto – le vie di collegamento sulle Ande non sono facili (non esistono gallerie ma serve risalire tutta la montagna, una partita persa quando il traffico è completamente bloccato da entrambi i lati). Naturalmente, c’è una grossa fetta dell’opinione pubblica che a un accordo con questi terroristi non pensa nemmeno lontanamente e chiede invece maggiori sforzi da parte dell’intelligence e dei finanzieri per smantellare economicamente il clan che finanzia questi appelli assassini. La memoria di costoro, infatti, va subito al fallimentare accordo di pace con le Farcs, sancito dall’allora presidente Juan Manuel Santos che per questo venne insignito del premio Nobel per la pace. A distanza di 6 anni sono ancora troppi quelli che non sono riusciti a rientrare nella società e sono tornati a delinquere. È probabile che la parola pace, nella mente di spietati criminali, non potrà mai albergare.   Di Ilaria Cuzzolin

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