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La conferenza stampa di Putin, tra minacce e ammissioni di difficoltà

La tradizionale conferenza stampa di fine anno di Vladimir Putin si è svolta come al solito a metà tra la kermesse popolare e il comizio propagandistico

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La conferenza stampa di Putin, tra minacce e ammissioni di difficoltà

La tradizionale conferenza stampa di fine anno di Vladimir Putin si è svolta come al solito a metà tra la kermesse popolare e il comizio propagandistico

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La conferenza stampa di Putin, tra minacce e ammissioni di difficoltà

La tradizionale conferenza stampa di fine anno di Vladimir Putin si è svolta come al solito a metà tra la kermesse popolare e il comizio propagandistico

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La tradizionale conferenza stampa di fine anno di Vladimir Putin si è svolta come al solito a metà tra la kermesse popolare e il comizio propagandistico

Mosca – La tradizionale conferenza stampa di fine anno di Vladimir Putin (in un quarto di secolo di amministrazione non si è tenuta solo nel 2022 nel momento di massima difficoltà militare dell’invasione in Ucraina) si è svolta come al solito a metà tra la kermesse popolare e il comizio propagandistico. È stata l’occasione per il Presidente russo per sfoggiare la sua ben nota attitudine a sciorinare blandizie e minacce. Menzogne e parziali ammissioni di difficoltà. Il tutto al fine di rendere l’intero menu digeribile ai più. Un mix costruito con sapienza dai suoi speechwriters, capaci di toccare le diverse corde per persuadere il pubblico televisivo russo.

Ha subito affermato di essere sicuro della liberazione della regione di Kursk. Ma ha aggiunto: “Non posso e non voglio indicare una data precisa in cui li metteranno al tappeto. I ragazzi stanno combattendo, c’è una battaglia in corso in questo momento. I combattimenti sono pesanti”. Ha dovuto però concedere che molti soldati russi in zona non stanno ricevendo la paga. “Ma faremo in modo che gli arrivi”, ha promesso.

Con fare provocatore da mafioso di periferia ha ripetuto che i nuovi missili a medio-lungo raggio utilizzati in Ucraina non sarebbero intercettabili dalla Nato: “Non c’è alcuna possibilità di abbattere questi missili”. Ha anche proposto di condurre una sorta di esperimento tecnologico, un duello high-tech del XXI secolo: “Che identifichino un certo luogo, ad esempio Kiev, e vi concentrino tutte le loro forze di difesa aerea e missilistica. Noi li colpiremo con il nostro ‘Oreshnik’ e vedremo cosa succede. Siamo pronti per un esperimento del genere. L’altra parte è pronta?”.

Putin ha anche minacciato di impiegare le armi contro Polonia e Romania. Ma dopo aver mostrato il bastone ha voluto allungare la sua carota. Affermando, su un possibile accordo di pace: “Siamo pronti a condurre un dialogo senza precondizioni, ma sulla base di quanto concordato durante il processo negoziale a Istanbul nel 2022 e sulla base delle realtà che stanno emergendo oggi sul campo”.

Ma il “compromesso” di cui parla il dittatore di Mosca è sempre lo stesso: “Le condizioni per l’avvio dei negoziati con l’Ucraina – ha detto Putin – sono: il ritiro delle loro forze dalle regioni Donetsk di Lugansk, Zaporizhzhya e Kherson; la rinuncia di Kiev di aderire alla Nato; la rimozione delle sanzioni da parte dei Paesi occidentali e l’istituzione di un’Ucraina non allineata e senza armi atomiche”. Andrebbe rimosso anche Zelensky, “visto che la sua presidenza è illegittima”. E così rinascerebbero le forze politiche filorusse, oggi fuorilegge: “Abbiamo lì i nostri ragazzi, che sognano di liberare con noi il loro Paese dal regime neonazista”.

Insomma, siamo ancora al “denazificare” l’Ucraina del febbraio 2022. Anzi, “l’aggressione avrei dovuto iniziarla prima”, specifica Putin. Forse ancora in piena crisi Covid, così da aggiungere disastro al disastro.

A proposito di disastri, il capo del Cremlino ha dovuto ammettere, di passata, che il naufragio di qualche giorno fa delle petroliere russe in viaggio verso il porto russo di Kavkaz è una “grande catastrofe ambientale” visto che “circa il 40% del carburante è fuoriuscito dalle cisterne”. Ma che la Russia farà di tutto per ripulire la costa. La sciagura non sarebbe avvenuta, secondo Putin, perché le due navi erano vecchie e con oltre mezzo secolo di attività alle spalle. Bensì perché “ci sono state delle irregolarità nell’operato dei capitani delle petroliere”.

Sul capitolo Siria, Putin ha cercato di negare la realtà affermando che “il crollo del regime di Assad non è una sconfitta della Russia, in quanto nel 2015 e negli anni successivi abbiamo partecipato all’operazione in Siria per evitare che vi si creasse un’enclave terroristica. Questo obiettivo è stato raggiunto”. Sulla permanenza delle basi nel Paese mediorientale non ha voluto sbilanciarsi ma è sembrato pessimista: “La loro esistenza dipende dall’evoluzione delle relazioni con la nuova leadership siriana. La Russia si è offerta di utilizzare le basi di Chmeimim e Tartus per consegnare aiuti umanitari in Siria”. Dopo il suo arrivo a Mosca, Putin ha dichiarato di non aver ancora visto Bashar al-Assad. Ma conta di farlo in futuro.

Sul fronte economico Putin ha ripetuto che le cose vanno per il meglio. Anche se l’inflazione “è alta, a causa non solo delle sanzioni, ma anche delle insufficienze del governo”. Uno scaricabarile, sulle spalle del governo, che ha spesso usato negli ultimi vent’anni di potere. Un modus operandi che in qualche modo funziona, visto che ancora nel Paese c’è chi è pronto a credergli.

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