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fabbrica di cioccolato di Trostyanets

La fabbrica di cioccolato di Trostyanets gronda sangue

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La fabbrica di cioccolato di Trostyanets gronda sangue

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La fabbrica di cioccolato di Trostyanets gronda sangue

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Maryna Eremenko, 35 anni, avvocato, un figlio malato «che però, da quando siamo in Italia, respira molto meglio». È una delle tante profughe che, grazie ai corridoi umanitari, hanno raggiunto il nostro Paese. Pur essendo infinitamente grata dell’aiuto ricevuto, il suo desiderio più grande resta quello di tornare in Ucraina, riabbracciare il marito e tornare a occuparsi di bisticci condominiali e inadempienze contrattuali. La sua città Sumy – 250mila abitanti, ad appena 30 km dal confine russo – è stata tra le prime a venire circondata dai carri armati dell’Armata rossa. «Anche volendo non avremmo avuto il tempo di scappare: il 24 febbraio, primo giorno di guerra, eravamo già assediati» ci racconta. Qui tutti sapevano delle “esercitazioni”, nessuno avrebbe però immaginato che i tank sarebbero entrati: «Eravamo convinti che avrebbero preso la strada per il Donbass» precisa Maryna. Da un giorno all’altro la sua vita di donna, madre e legale è dovuta entrare tutta in una valigia «occupata per metà dalle medicine di mio figlio», spiega con una compostezza che a volte si fa persino fatica a comprendere.

Chiunque perderebbe la testa di fronte a tanto dolore. Invece in più di un’occasione il popolo ucraino ci ha abituati a una dignità e a una resilienza che non soltanto non hanno spento un umano bisogno di giustizia (e anche di vendetta, a dirla tutta: chi non ne avrebbe?) ma lo hanno persino alimentato. Una dignità che ha dimostrato anche continuando a lavorare fin quando ha potuto. Come fino a poco più di due mesi fa nella fabbrica di cioccolato di Trostyanets, tra le più grandi in Europa, dove ogni giorno si producevano quintali di barrette. Costruita nel 2011 dalla Kraft, da lì uscivano anche gli snack della mucca con il packaging viola. Questo prima che venisse trasformata dai russi in una fabbrica degli orrori.

Quando ne parla, la voce di Maryna tradisce attimi di commozione: «A Trostyanets ho parenti e amici che mi hanno raccontato atrocità che vi risparmio perché non riuscireste più a dormire. Si parla tanto e giustamente di città come Kiev, Mariupol e Bucha, ma sappiate che in Ucraina ci sono tante altre realtà che stanno vivendo gli stessi orrori» tiene a precisare. «Sotto la fabbrica, nei suoi sotterranei, si erano nascoste molte famiglie in cerca di protezione. Quando i nostri militari sono riusciti finalmente a riappropriarsi della città e sono scesi lì sotto, hanno fatto un viaggio dritto all’inferno». Maryna riferisce di occhi cavati dalle orbite, colpi di arma da fuoco in volto, segni evidenti di tortura e violenze carnali su donne, anche giovanissime. «Non riesco a comprendere come un essere umano possa fare questo a un altro suo simile. Ancor più se è un civile, disarmato. La loro ferocia non ha nulla di terreno. Non è sufficiente parlare di crimini di guerra, quello che è stato fatto alla fabbrica di cioccolato è uno sterminio di massa».

Proprio lì, dove un tempo scorreva uno dei fiumi di cioccolato più grandi d’Europa, sono stati versati litri di sangue e nessuno, prima di oggi, ne aveva ancora parlato.

di Ilaria Cuzzolin

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