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La forza che ci manca

La Polonia supera lItalia nellaiuto a Kiev e si candida a sostituirci tra i grandi, tra rifornimenti impeccabili e una politica sempre vicina all’Ucraina senza ripensamenti

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La forza che ci manca

La Polonia supera lItalia nellaiuto a Kiev e si candida a sostituirci tra i grandi, tra rifornimenti impeccabili e una politica sempre vicina all’Ucraina senza ripensamenti

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La forza che ci manca

La Polonia supera lItalia nellaiuto a Kiev e si candida a sostituirci tra i grandi, tra rifornimenti impeccabili e una politica sempre vicina all’Ucraina senza ripensamenti

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La Polonia supera lItalia nellaiuto a Kiev e si candida a sostituirci tra i grandi, tra rifornimenti impeccabili e una politica sempre vicina all’Ucraina senza ripensamenti

L’accostamento tedesco, nel giustificare l’assenza dell’Italia dal mini-vertice programmato e poi annullato a Ramstein, di «Roma e Varsavia» non è un caso. Non può esserlo. È uno di quei sottili messaggi con cui la politica internazionale, paragonando vino e vodka, sottolinea dei paradossi. Nel nostro caso parliamo di forza, quella nell’aiuto dato a Kiev dall’inizio dell’invasione russa.

La Polonia ci batte su tutta la linea. È vero, noi non abbiamo la Russia che mostra i denti al confine né dobbiamo esorcizzare un passato in cui la barbarie sovietica (oggi putiniana) è stata legge anche in casa nostra. Eppure l’Italia, Paese fondatore dell’Ue, membro Nato dal 1949, terza economia europea e ottava a livello mondiale, da due anni e mezzo dà a Kiev soltanto briciole.

Ne scriviamo su queste pagine ogni giorno con Giorgio Provinciali dal fronte, ma è bene ricordarlo: per noi l’Ucraina è una discarica di ferrivecchi, fuori servizio, fuori uso e buoni solo per la demolizione. Certo, qualcosa di moderno ed efficiente bisogna pur mandarlo. Zelensky si faccia dunque bastare qualche blindato Lince delle ultime serie, un paio di batterie antiaeree Samp/T (rigorosamente fornite in coppia con Parigi, sia mai che andiamo da soli e ci dimostriamo davvero collaborativi) e qualche missile da crociera Storm Shadow (ma guai a usarli oltre i confini russi o in Crimea, che per l’Italia fa ancora parte dell’Ucraina).

Se questo è il quadro, e ignorando per un attimo la geografia, da Varsavia ci si aspetterebbe molto meno. Sono la ventunesima economia globale, la sesta europea, con un Pil che non si avvicina nemmeno alla metà del nostro. Cosa potranno mai fornire? Di tutto! La Polonia ha consegnato a Kiev oltre 300 carri armati (di vari modelli e quasi tutti pienamente operativi), 14 cacciabombardieri, una dozzina di elicotteri, almeno 500 blindati per la fanteria (molti dei quali recenti e moderni), almeno 110 pezzi di artiglieria semoventi (circa la metà sono Krabs, entrati in linea nel 2016). E poi droni da ricognizione e kamikaze, sistemi antiaerei, missili, razzi a migliaia e munizioni nell’ordine delle centinaia di migliaia di unità.

E dove non arrivano le armi, lo fa la politica. Il supporto all’Ucraina è rimasto saldo nonostante un cambio di governo lo scorso dicembre, con una linea comune e condivisa con molti Stati alla frontiera Est: aiutare fino in fondo, a qualunque costo. Sia esso autorizzare a colpire in profondità Mosca o addirittura offrirsi (con la Romania) di abbattere gli ordigni russi che si avvicinano ai confini.

Diciamocelo chiaramente: alla prova dei fatti, il ruolo di Roma in questa guerra risulta a dir poco sbiadito e poco lungimirante. Con la scusa del supporto all’Ucraina, Varsavia si sta riarmando a un ritmo rapidissimo, con ricadute sulla sua economia ancora tutte da quantificare. Le fabbriche di armi, sia locali che dei partner stranieri, hanno aumentato la produzione, i posti di lavoro e i guadagni. Il Paese, al contempo, sta aumentando la spesa militare e si sta consolidando come la prossima potenza militare europea, destinata forse a eguagliare la Spagna prima e l’Italia poi nel giro di pochi anni. Noi invece, prede del filo-putinismo di almeno una parte del governo e della retorica antimilitarista che ci contraddistingue da decenni, languiamo.

Parliamo, facciamo i belli e i buoni nella speranza di conquistare tutti. Come il nostro vino, che certo piace a molti ma in quanto a gradazione alcolica è ben lontano da una potente, e meno comune, vodka polacca.

di Umberto Cascone

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