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La guerra infinita di Israele

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I combattimenti delle ultime settimane sono stati i più sanguinosi dall’inizio del conflitto e le trattative per il cessate il fuoco a Gaza proseguono a rilento

La guerra infinita di Israele

I combattimenti delle ultime settimane sono stati i più sanguinosi dall’inizio del conflitto e le trattative per il cessate il fuoco a Gaza proseguono a rilento

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La guerra infinita di Israele

I combattimenti delle ultime settimane sono stati i più sanguinosi dall’inizio del conflitto e le trattative per il cessate il fuoco a Gaza proseguono a rilento

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Le trattative per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza procedono a rilento: il piano proposto dagli Stati Uniti si è incagliato di fronte all’indisponibilità di Hamas nell’accettare un accordo che non preveda la tregua permanente e il totale ritiro dell’esercito israeliano (Idf), una condizione inaccettabile per Israele. Nel frattempo nell’enclave palestinese i combattimenti si stanno intensificando, anche in zone che l’Idf aveva detto di aver messo in sicurezza.

Da settimane i soldati israeliani sono tornati a combattere a Jabalia, nella zona Nord di Gaza, e negli ultimi giorni sono in corso durissimi scontri a Bureij, nella zona centrale: due quadranti della Striscia separati dal cosiddetto ‘corridoio di Netzarim’, l’insediamento dell’Idf che ha lo scopo di rafforzare il controllo militare sull’enclave dividendola in due blocchi. Nella notte di mercoledì l’aviazione israeliana (Iaf) ha bombardato una scuola dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) a Nuseirat, molto vicino a Bureij, dicendo che all’interno vi si trovava una base di Hamas.

Secondo gli analisti militari la presenza di Hamas nella parte centrale e settentrionale della Striscia è ancora massiccia e gli scontri di Jabalia e Bureij rivelano la capacità dell’organizzazione di riemergere in zone da cui era stata costretta a ritirarsi. Attualmente potrebbero esserci più miliziani di Hamas a Gaza Nord che a Rafah, la città meridionale al confine con l’Egitto descritta da Tel Aviv come «l’ultima roccaforte» dell’organizzazione dove si troverebbero «i quattro battaglioni rimasti» e il leader Yahya Sinwar.

I combattimenti delle ultime settimane sono stati descritti come i più violenti dall’inizio del conflitto. Gli ufficiali dell’Idf hanno detto ai cronisti che le milizie adottano tattiche di contro-guerriglia organizzando imboscate e agguati con armi leggere e lanciarazzi a spalla. Una minaccia asimmetrica che può trascinare Israele in un’estenuante guerra di logoramento ancora per molti mesi o addirittura negli anni a venire.

Hamas non si sta limitando a far riemergere gli uomini del suo braccio armato. Pur mantenendo un basso profilo per non farsi colpire con attacchi mirati, l’organizzazione sta cercando di riaffermare la sua autorità sulla vita civile di Gaza. I residenti di Jabalia hanno raccontato di aver visto i funzionari di Hamas pattugliare i mercati, imporre controlli sui prezzi dei beni essenziali e organizzare la distribuzione dei pochi aiuti umanitari che entrano nell’enclave. «Questo non è un governo ombra, tutt’altro. C’è una sola autorità dominante e prominente a Gaza ed è Hamas. I suoi leader si sono adattati alla nuova situazione e stanno preparando le prossime mosse» ha detto al “Guardian” Michael Milstein, analista del think tank israeliano Moshe Dayan Center.

L’organizzazione non può dichiarare vittoria di fronte alla distruzione della Striscia causata dagli attentati del 7 ottobre, tuttavia non ha intenzione di arrendersi o abbandonare la lotta armata, consapevole di poter reclutare nuovi miliziani fra la popolazione palestinese disperata. La resilienza di Hamas è una minaccia non soltanto per le trattative di un cessate il fuoco, ma anche per la possibilità di progettare una ricostruzione efficace e un futuro diverso per la governance di Gaza, che dopo sette mesi di guerra sembra condannata a restare – in un modo o nell’altro – il regno di Hamas.

di Federico Bosco

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