La Mamma che seppellisce
Gli ucraini sono soliti definire Kyiv e Odessa il papà e la mamma della loro nazione. L’invasione ingiustificata di Putin ha avuto un unico risultato tangibile: dividere definitivamente due popoli un tempo fratelli.

La Mamma che seppellisce
Gli ucraini sono soliti definire Kyiv e Odessa il papà e la mamma della loro nazione. L’invasione ingiustificata di Putin ha avuto un unico risultato tangibile: dividere definitivamente due popoli un tempo fratelli.
La Mamma che seppellisce
Gli ucraini sono soliti definire Kyiv e Odessa il papà e la mamma della loro nazione. L’invasione ingiustificata di Putin ha avuto un unico risultato tangibile: dividere definitivamente due popoli un tempo fratelli.
Gli ucraini sono soliti dire come Kyiv e Odessa siano rispettivamente il papà e la mamma della nazione e questo spiega lo striscione – scritto in russo, per non lasciare alcun dubbio sui destinatari – che è stato appeso dai cittadini della città portuale: “Chiunque proverà a toccare la Mamma, la Mamma lo seppellirà!”. L’Ucraina è pronta alla strenua difesa del suo sbocco sul Mar Nero: ha issato barricate e armato la popolazione, protetto i suoi beni culturali dietro sacchi di sabbia, minato il mare, la spiaggia e le strade da cui potrebbero arrivare le truppe di Putin. Si tratta della stessa risoluta resistenza che Mosca ha trovato a Kharkiv, a Sumy e nell’accerchiata Mariupol.
Resistenza contro un’oppressione odiosa e strisciante. «Mia moglie è stata fermata da una pattuglia russa. Le hanno chiesto il passaporto. Poi le hanno messo il fucile in faccia e le hanno detto: “Dì che Kherson è russa”. Mia moglie ha risposto: “Kherson è ucraina”. Così l’hanno colpita» dice Dmitriy Shylin mostrando una foto delle ferite: «Sono fiero di lei e la amo». Resistenza della quotidianità anche di fronte al disastro: «Sto scrivendo un articolo in cantina mentre suonano le sirene dei raid aerei, a voi come sta andando la mattinata invece?» chiede Kate Tsurkan, editor capo di una rivista di temi culturali.
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Resistenza nel dolore: «Dopo un indiscriminato attacco russo a Markhalivka, un uomo ha perso moglie, figlia, due generi e la suocera. Solo il gatto è sopravvissuto» comunica il museo dell’Holodomor, dedicato alla terribile carestia ucraina pianificata dalla Russia negli anni Trenta. Resistenza del ricordo: «Questa bellissima famiglia» scrive Myroslava Petsa sopra una foto di una coppia sorridente con un neonato in braccio «non esiste più. Mykhailo Soloshenko, sua moglie Inna e loro figlio Yefrem sono morti quando un carro russo ha sparato sulla loro auto.» Resistenza di un sogno di libertà: «Slava Ukraini!» dicono tutti.
«Gli ucraini non possono arrendersi» spiega la giornalista Olga Tokariuk – recentemente sfollata da Kyiv e indignata dagli appelli di alcuni analisti occidentali che vorrebbero la resa di Zelensky al fine di evitare ulteriori spargimenti di sangue – «perché significherebbe la fine della loro nazione. L’invasione russa ha cambiato per sempre l’ordine globale ed è inutile sperare che si possa tornare al business as usual il più presto possibile. Gli ucraini non si possono arrendere – continua – perché sanno bene che quello che è accaduto nel Donbass dopo l’occupazione russa del 2014 si ripeterebbe ovunque: incarcerazioni arbitrarie, torture, stupri, epurazioni dei dissidenti. Sta già accadendo nelle città di cui hanno preso temporaneamente il controllo».
La storia dei rapporti ucraino-russi era già travagliata prima di questo ennesimo massacro ingiustificato; l’improvvida invasione di Putin ora sembra aver avuto l’unico risultato tangibile di dividere definitivamente due popoli un tempo fratelli.
di Camillo Bosco
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